P. Giuseppe Giovanni M. Rossi (1902 – 1945)
P. Dott.
Renato Tommaso M. Santi – 1966 |
I Alba di gioia e di afflizione 1902 – 1925 (Fradusto
– Montefano – Bologna – Roma) 1. Per le pendici del Savena. Oh l'estate limpida e
calda del 1922 come la ricordo ancora! L'alba biancheggiava appena sulle case
di Trasasso e l'oscurità indugiava ancora sui tònfani
della stretta valle del Savena, là dove gli scoscendimenti del « Mulino della
Grillara » si aprono all'orrido, quando col babbo e la mamma e due miei
fratelli c'inoltravamo per la mulattiera che risale alla « Torre » di
Vergiano, per raggiungere Fradusto di Monghidoro.
Lassù c'era gran festa quella prima domenica di agosto ! Il nonno materno,
Giuseppe Calzolari, ci aspettava tutti a « Cà di Patino ». Valerio e Dante,
irrequieti e spericolati, battevano l'avanguardia su per il sentieruzzo, volteggiando, caracollando, tra frasche e
cespugli, facendo schizzare qua e là sassi e scaglie di silice, mentre il
babbo, che chiudeva la fila indiana e si portava a cavalluccio la nostra
sorellina di tre anni, dava talvolta sulla voce per frenare l'andatura. Si
arrivò a Fradusto un po' col fiatone, quando già le
campane della Parrocchia tempellavano argentine per quella radura,
aggraziata ai margini da casolari, boschetti e campicelli. La porzione di area montana,
contenuta nel Comune di Monghidoro, chiamata Fradusto,
quasi a ridosso delle Parrocchie di Vergiano, S. Andrea di Val di Savena e
Monghidoro, non è molto cambiata, sotto l'aspetto paesistico, da quella
lontana estate per chi oggi vi ritorni a scopo di diporto. Le case tirate su
dalla viva pietra di cava, alcune ancora coi tetti a lastre, annerite dai
secoli, altre ricostruite, dopo le rovine dell'ultima guerra, con intonaco e
tinteggiatura vivace, sono rimaste inalterate nella loro toponomastica. Ora
il progresso della tecnica vi ha portato, a conforto degli anziani, rimasti
tenacemente sul posto, un soffio di prosperità: la strada discretamente
rotabile, la luce, l'acquedotto e perfino la T. V., mentre ha spinto i
giovani ad emigrare, scendere in città, verso gli agglomerati industriali.
L'agricoltura vi è praticamente morta, praticata da chi ha ancora braccia
valide e la passione per essa, diretta però verso le colture foraggere. I
castagneti hanno oggi solo la funzione di arginare il terreno, là dove è loro
consentito di sopravvivere, poiché il loro frutto: le castagne secche, le balotte, i necci, le pattone, si è fatto arcaico. A due
anni dall'inizio del secolo, quando alla « Casanovetta
di Sotto » vi nasceva il bimbo, Giuseppe Rossi, il futuro Padre Rossi erano
ben altri tempi ! La gente vi viveva in un clima eroico di povertà, lontana
sì dal benessere, ora raggiunto, però più felice e vicina a Dio! 2. Musica e « treccia ». Nel ricomporre una
breve panoramica della terra che diede i natali al Padre Rossi, mi sovviene
casualmente l'espressione toscana di chi, richiesto come si stesse lassù fra
i monti, rispose: « Eh! vin di nuvoli e pan di castagne! cioè acqua fresca e
polenta dolce ! Un tenore di vita dunque a Fradusto
magro e stentato per chi, già ottantenne, ricorda ancor oggi che il pane di
fior di farina lo si faceva solo in tre o quattro famiglie, le quali dovevano
affrontare l'ondata del nomadismo dei poveri che ogni anno si ripeteva dai
morti fino al nuovo raccolto. Allora l'accattonaggio per i casolari aveva una
sua consuetudine e un suo rito. Quando il mendicante giungeva alla porta, la
massaia dal di dentro l'avvertiva dal lento sfarfugliare
di preghiere. Allora essa si affacciava all'uscio col ramaiuolo,
colmo di farina gialla, o con una manciata di noci o di castagne secche.
Erano giorni magri davvero! Eppure quanta pace e serenità presso quei
focolari! Ci si radunava nelle lunghe veglie d'inverno a far la « treccia ».
Mentre i babbi attendevano a preparare le caldarroste, le mamme intessevano
treccia e treccia di paglia con gli occhi premurosi sulle loro ragazze che
ballonzolavano coi giovanotti, ed i suonatori dell'« Acqua calda », i
fratelli Gurieri, Chicon,
Zanet, Alfunsin, coi
loro strumenti a corda, assecondavano il ritmo. Oh il ticchettio
febbrile delle dita di quelle brave e sante mamme, sempre agili ad
intrecciare paglia con paglia, pari al secco ruminar dei filugelli sulle
foglie di gelso ! Quanto «treccino» per formare una stuoia e giungere
all'importo d'una lira ! Dio solo sa quanta «treccia» ebbe ad intessere la
mamma del Padre Rossi, la buona Romana, sia quando sul nido familiare
arridevano le più promettenti speranze, sia quando, rimasta vedova, orbata
dei figli, Sista e Ferruccio, doveva provvedere a se stessa, con l'ansia
preoccupante per il figlio Emilio, assai malaticcio e con l'ardente desiderio
di vedere sano almeno il suo Jusfin, il
Padre Giovanni, che in quei giorni d'indicibile sofferenza, quasi in unione
telepatica con la sua adorata mamma, scriveva: « Quante care persone in
pochi anni scomparvero! Quante dolci illusioni, quante care speranze presto
infrante! Quante angustie vennero a stringermi questo giovane cuore, che non
voleva altro che dilatarsi nella gioia! ». 3. Costantino e Romana. Ottimi, laboriosi,
pazienti, pii: questi i genitori del Padre Rossi, nel ricordo ancor vivo dei
loro conterranei. Lui, Gustantin, era
un uomo alto, dai baffi folti, spioventi, meditativo, bravo artigiano in
falegnameria, pronto a recarsi per le case nel lavoro spicciolo. Lei, Rumena,
di media statura e carnagione bruna, faccia longilinea, era piena di
garbo e di gentilezza; di carattere piacevole, casalinga, non riempiva di
querimonie le orecchie altrui ma tutto soffriva nel suo animo, educato e
rispondente a quell'ascetismo che sempre aveva distinto la famiglia dei Marsigli. Un alto senso religioso era stato sempre
praticato dalla di lei discendenza, quando si pensi che suo fratello, Don
Modesto, era Parroco a Cedrecchia; e parentela c'era pure col nostro Padre Anselmo
Maria Marsigli, di santa memoria, umile eroe degli
Swazi e consanguineità perdura ancora nel Padre Bernardino Maria Piccinelli,
cugino materno col Padre Rossi, da cui ricevette il mandato e la più ampia
benedizione nel governo della sua prediletta Parrocchia del Sacro Cuore in
Ancona. La progenie dei Rossi
aveva in Fradusto la sua sede presso quei due
casolari, distanziati l'uno dall'altro quanto un tiro di sasso, che si
chiamano: « Casanovetta di Sopra » e « Casanovetta di Sotto ». In questa ultima abitazione,
quasi a vedetta della valle del Savena, vi abitava la famiglia di Costantino.
Nel divario di otto anni dal 1894 al 1902 gli nacquero 4 figli: Emilio,
Sista, Ferruccio, Giuseppe che vivevano di quanto procurava loro il mestieruccio del babbo e di quanto fruttava un ristretto
scamuzzolo di terra, sufficiente ad allevare una vaccina che costituiva
l'impegno quotidiano per il pascolo dei due fratellini minori: Ferruccio e
Giuseppe: « Dopo la povera colazione, divorata col più sano appetito, mi
mettevo in maniche di camicia e insieme al fratello conducevo al pascolo la
vaccherella », così egli ci dà uno spiraglio di luce georgica della sua
delicata infanzia. Il ricordo di quei giorni si appunta sul pomeriggio
domenicale e ci porta al vivo la scena di intenso affetto: « Dopo il pasto il
babbo sedeva al fresco, davanti alla porta di casa, legicchiando
qualche libro ; la mamma ci lustrava le scarpe a noi più piccoli; la sorella
ci spazzolava gli abiti; il fratello maggiore coglieva alcuni dei fiori più
belli del suo giardinetto... ». Infanzia serena, dolce, gaia, senza angoscia
e senza nube! 4. Il giorno di S. Luigi. Quando il sabato notte,
all'una del 21 giugno 1902, le nacque il 4° bambino, Romana forse fu sul
dubbio di chiamarlo Luigi quell'ultimo nato, se già non ci fosse stato l'accordo
con lo zio Giuseppe e con la santola Giuseppina Musolesi,
giunta in mattinata da Cedrecchia, di chiamarlo Giuseppe. Per portare il
neonato al Santo Battesimo non sarebbe occorsa molta strada, se la
Parrocchiale di Fradusto avesse avuto il Fonte
Battesimale. Sarebbe stata una passeggiatina, comoda, di 20 minuti, nell'ora
meno assolata. Ma invece le competenze canoniche di quei tempi riservavano
ancora al Parroco di Vergiano il diritto di accogliere i battezzandi di Fradusto. Così Don Giuseppe Gaggioli accettò nel
pomeriggio di quel giorno di S. Luigi il neonato della « Casanovetta
di Sotto », battezzandolo col nome di Giuseppe alla presenza del babbo
Costantino, dei testi: Riccardo Castelli e Vito Baldini e della santola,
Giuseppina Musolesi che quella creaturina di
neanche un giorno se l'era portata in braccio per tutto il tragitto dalla
casa alla chiesa di Vergiano e viceversa, avvolta e stretta nello strapuntino
che in montagna chiamano la cuzidrala. Dunque il bimbo,
Giuseppe Rossi, entrò nella casa paterna come il cocco di mamma,
coll'appellativo prediletto: — Al mi Jusfin! —,
trascorrendo l'infanzia e la prima fanciullezza in un'area, sia pure, di
scarso interesse e di limitate attrattive, ridondante però di felicità e di
spensieratezza, finché non vennero gli impegni della Scuola Elementare alla «
Torre » di Vergiano, sotto la maestra, signora Orsola Tattini. Questa fase formativa
decorse in un clima di stimolo e di favore; in quanto lo zio, Don Modesto, a
Cedrecchia, era sempre pronto ad accoglierlo per ripetizioni e lo spronava ad
impegnarsi decisamente; pure il fratello Ferruccio che già frequentava le
Scuole Elementari Superiori a Monghidoro gli era di grande aiuto. Per cui,
una volta entrato nel collegino di Montefano, il
piccolo Giuseppe non troverà molta difficoltà a mettersi alla pari dei suoi
compagni, anzi li supererà, con evidente soddisfazione del suo giovanissimo
maestro di Lettura, Luigi Artusi. 5. L'Arcivescovo e la « fiorita ». Scoccava ormai l'ora
dei primi incontri col Signore per il bimbo, Giuseppe Rossi, prescelto a
grandi cose. La Santa Cresima la ricevette dall'Arcivescovo di Bologna, S. E.
Mons. Giacomo Della Chiesa, in un giorno di gran
festa per Fradusto. Il presule vi giunse su una
cavalcatura bardata, dall'ampia criniera: la cavallina del Papa, come la
gente la menzionava, di proprietà di Ernesto Marsigli. Il popolo festante
accorreva incontro, lungo la mulattiera da dove passava l'Arcivescovo
benedicendo, fra lo scampanio allegro
delle campane. « Ricordo il Santo
Padre — scriverà poi nel quadernetto dei « Colloqui » — quando era
Arcivescovo, quando mi cresimò. Mi prese amorevolmente tra le sue ginocchia
e m'interrogava s'io volessi farmi prete davvero, sforzandosi egli di
parlare il mio dialetto, per darmi confidenza. Ricordo, quand'io, ancor
fanciullo, stavo nei campi solitari e lo vedevo passare per quelle straducole di campagna, sopra una cavalcatura, bardata
alla contadinesca. Quanta gioia m'invadeva, allorché la sua mano s'alzava
sopra di me benedicente ! ». E giunse il grande
incontro della Prima Comunione, il 1° novembre 1911, il cui
cartoncino-ricordo, firmato dal Parroco, Don Luigi Tassoni, è conservato nel
Museo di Ronzano. Altri appuntamenti col Signore erano determinati dal suo
compito di chierichetto della
Parrocchia e da
una circostanza, in cui col
fratellino Ferruccio s'aggirava di balza in balza, alla ricerca di fiori e
ginestre per la « fiorita » del « Corpus Domini ». Ecco come egli rievocherà
nei « Colloqui » quella giornata di grazia: « Il Corpus Domini!
Quanto mi è caro quest'oggi risalire indietro nei ricordi di mia vita, fino
agli anni della fanciullezza, dell'infanzia. Di buon mattino ascoltavo la S.
Messa e facevo la S. Comunione, assieme al fratello. Di ritorno prendevamo
un cestino per uno e via per i campi, pei prati, pei boschi, lungo le siepi,
in cerca di fiori per cospargere le vie per cui doveva passare la processione
del pomeriggio. Nei boschi le ginestre parevano in fiamme, tant'era la copia
di esse. Gli odori più vivaci, più delicati, si mischiavano nei nostri
cestini, finché non erano pieni. Allora col viso infuocato, grondante
sudore, tornavamo a casa. Sulla tavola era pronto il desinare, rallegrato
dalle prime ciliegie che il babbo aveva colto la mattina, ancor bagnate di
rugiada. Quanta pace allora nella nostra famigliuola!... Al primo tocco di campana, correvamo
giulivi a corteggiare Gesù che passava sui nostri fiori, come sopra un
soffice tappeto. Pareva che non dovesse mai finire quella pace felicissima!
». 6. « Oh amarezza delle gioie di quaggiù ! ». Giuseppe Rossi, di
ritorno dalla scuola, da cui distava non più di mezz'ora di cammino,
trascorreva le ore ricreative col fratellino Ferruccio o sull'aia di casa o
nel campo o nel bosco, in cerca di nidi, di fragole, di funghi e quando la
stagione invitava, con rare capatine, giù nel Sàvena
per andare a pesci e farvi il bagno. Altri compagni, più prossimi, potevano
essere i cuginetti, figli degli zìi, Bonafede e Giuseppe.
Ferruccio però rimaneva sempre fra tutti « l'inseparabile compagno » — sono
espressioni testuali dei « Colloqui » —; « il fratello a me carissimo »; «
la metà dell'anima mia » ; « l'oggetto di tanto mio amore » ; « io credo che
la miglior parte di te aleggi intorno alla casa paterna e anche intorno alla
mia cella ! ». Affezionato pure al
fratello maggiore, il quale stava prendendo su ottimamente il mestiere del
babbo, tuttavia si sentiva più vicino a Ferruccio, attratto forse dalla
straordinaria intelligenza e bontà d'animo. Per cui non desti stupore, allorché
questi, diplomatosi ormai Maestro di Scuola Elementare, andava spegnendosi in
una corsia d'ospedale a Bologna, il 17 giugno 1923, se il fratello Giuseppe,
già studente teologo al «S. Alessio Falconieri» in Roma non potè contenere il pianto irrefrenabile: « Oh amarezza delle
gioie di quaggiù!... Anche Tu, o fratello, come prima la sorella, hai
lasciato il mondo, senza un ultimo saluto per me! Senza che io potessi
ribaciare il tuo volto, pallido e agghiacciato dalla morte! ». Finché Giuseppe Rossi
visse nel calore del nido familiare, la fortuna parve arridere alla « bianca
casetta paterna » ; ma quando egli si ritirò nel collegino
di Montefano, la sorte si capovolse e prese ad infierire su quella famigliuola. Sista si estinse per « spagnuola
» nel 1918; Ferruccio la seguì nel 1923. Costantino che s'aggirava « soletto
ed incerto fra i boschi », morì nel 1925. Mamma Romana gli tenne dietro nel
1929. E nell'aprile del 1932 fu rapito a 38 anni Emilio, lasciando al mondo
la figlioletta Laura, oggi sposa al Maestro di Trasasso, sig. Ravaglia, la
quale dalla scomparsa dello zio Padre Giovanni, cui tanto somiglia e nel
volto e nell'animo, è rimasta l'unica superstite e gentile depositaria degli
affetti e dei ricordi più cari della famiglia Rossi di « Casanovetta
di Sotto ». Dunque il Padre
Giovanni, nel fior dei trent'anni, rimase al mondo, solo lui, chiuso
nell'immenso dolore: « Oh quant'è difficile — afferma nei « Colloqui » — abituarsi
al pensiero della scomparsa da questo mondo di quei nostri cari che eravamo
abituati a non vedere, perché lontani, ma contavamo i giorni che ancor ci
separavano da loro ! ». Una vera alba di gioia
che si tingeva di afflizione! 7. I germi d'una vocazione. Lievitarono essi
accanto al gran cuore di mamma Romana e al fervore sacerdotale dello zio
materno, Don Modesto Marsigli. Il fatto tuttavia
che determinò la scelta per l'Ordine dei Servi di Maria è presumibile
riferirlo al buon nome che una discreta pattuglia di Religiosi Serviti, figli
di quelle terre tra Savena e Sambro, stava riscuotendo da un quarto di secolo
in qua dalla nascita di Giuseppe Rossi. Questi giovani vi avevano
superbamente attecchito nell'Ordine della Madonna ed erano ritornati ai loro
paesi, pieni di entusiasmo, a cantarvi la Prima Santa Messa. Qualcuno, nato
troppo presto per il Cielo, fu colto sul tenero stelo, quasi al varcare della
soglia del sacerdozio. Alludiamo al Padre Pasquale Rocca e ai fratelli Massa:
Padre Leonardo Giacomo Filippo e Fra Giuseppe Ristoro, nativi di Fradusto. Degli altri loro
confratelli ci sia consentito ricordarne almeno il nome, quali degni
precursori del Padre Rossi: i fratelli Gabrielli, Padre Pietro, Padre Donato,
Padre Paolo ; i Padri: Gioacchino Barbieri, Gesualdo Rocca, Alessio
Gamberini, Filippo Francia, Francesco Borri, Giuseppe Mezzofanti,
Casimiro Cinti, Cesare Dozza, Nicola Naldi, Girolamo Alvisi. Accanto a questi degni
campioni d'una vocazione tenace, coltivata in anni di aperto anticlericalismo,
sarebbe stato doveroso accennare più diffusamente a quanti dei Parroci in
quelle zone furono un elemento precipuo nella lievitazione dei germi della
vocazione religiosa. Uno dei più vivaci, per ardimento e coraggio, fu Don
Luigi Tassoni, Parroco di Fradusto per 44 anni ; a
lui si deve la costruzione della nuova chiesa, inaugurata poi il 24 settembre
1905, quando Giuseppe Rossi aveva 3 anni. I pochi vecchi rimasti sul posto
ricordano ancora le processioni salmodianti di ogni domenica, quando Don
Tassoni, prima della Messa Parrocchiale, si recava con uomini e donne, grandi
e piccoli, nelle cave vicine e ognuno si recava sulle spalle il suo sasso,
già squadrato dallo scalpellino. Erano anni scarsi di mezzi ma ricchi di
fede! Ed è lecito ripensare che anche mamma Romana, tenendo per mano il suo Jusfin si portasse il fardello di pietra,
quasi presaga che in quella nuova casa di Dio, verso quell'altare, il piccino
un giorno avrebbe orientato il suo destino. 8. Il « Collegino ». Lo si aprì ufficialmente
a Montefano di Macerata, nel novembre 1910, in seguito al Rescritto della S.
Congregazione dei Religiosi del 13 settembre 1910 che disciplinava il reclutamento
di vocazioni nei Seminari e Case Religiose di formazione, autorizzando
l'accettazione di fanciulli, non inferiori però agli 11 anni. L'indulto
veniva ad abrogare il Rescritto precedente del 5 agosto 1899, in cui l'età
valida per gli alunni non doveva essere al di sotto dei 14 anni. Subentravano
però problemi nuovi di carattere didattico, disciplinare, in cui si
alternavano un maggior impiego di personale ed un più intenso dispendio di
forze. Il Padre Provinciale dei Servi di Bologna, Padre Amadio Maria Brugnoli, seppe con molto senso pratico mettere nel
giusto punto focale la posizione giuridica del nuovo Collegino
di Montefano inviando al Maestro, Padre Pietro Maria Gabrielli, in data 11
novembre 1910, una lettera in cui si dava un volto ben chiaro alla nuova
famiglia: « Gli Alunni non sono novizi e molto meno religiosi ma
semplicemente ragazzi aspiranti a divenire a suo tempo novizi religiosi dei
Servi di Maria. -Abito da preferirsi: nero, da secolare, ma uniforme. -
Vitto: sano ed abbondante, relative ad adulescentulos.
- Studio: i ragazzi debbono rimanere in camera solo per dormire ; lo studio
deve farsi nella sala comune ». Così nacque e si
protrasse per 10 anni, fino al 1920, la vita del « Collegino
» con modesto consuntivo totale di 40 presenze, con lusinghiero risultato, in
quanto diede alla Religione dei Servi 9 sacerdoti, fra cui un Vescovo, Mons. Giulio Mattioli e il nostro Padre Giovanni Maria
Rossi. Per cui il reclutamento di giovanissime leve, appena undicenni, fu giudicato
provvidenziale, rispondente a quella anticipazione della prassi Sacramentale,
voluta da S. Pio X. I ragazzi, introdotti alla vita della grazia con la
precoce Prima Santa Comunione, potevano considerarsi come fiori in pieno
sboccio da cogliersi da chi li sapeva individuare e scegliere. Si trattava
di trovar degni e capaci « accertatori » e « collettori » che sapessero
rintracciare le tenere pianticelle delle vocazioni. Persona più indicata di
Leonardo Gabrielli, babbo del Maestro del Collegino,
non poteva forse trovarsi per tale compito. Fu appunto il sig. Leonardo di S.
Benedetto Val di Sambro, uomo di una serietà e serenità sacerdotale, che
discoprì il nostro Giuseppe Rossi, ne scorse le ottime disposizioni e lo
introdusse nelle trattative di accettazione. Il giorno della partenza per la
nobile e dolce avventura fu determinato l'11 ottobre 1913. 9. L'« infornata » del 1913. Nella piazzola di
Monghidoro, quel mattino prestissimo dell'11 ottobre 1913, c'era un brusio
insolito. Cinque ragazzetti s'erano dato appuntamento per il postale; con
loro c'era pure un Religioso, di cui nella penombra s'intravvedeva lo
scapolare svolazzante. Le mamme presenti cercavano di sviare con chiacchiere
la commozione intensa. Erano partite a notte alta per essere puntuali al
raduno da disparate località coi loro figli: Amerigo Berti da Campeggio,
Guido Salomoni da Trasasso, Dante Stefanini da Ripoli, Luigi Benni e Giuseppe
Rossi da Fradusto. Le mamme al momento dell'addio
battevano le nocche contro i finestrini e mamma Romana aggiunse: Jusfin, fa ben pulid! A Bologna, presso il
Convento dei Servi, si aggiunsero altri due « nuovi », Prospero Tubertini da Budrio e Amedeo Collina da Sparvo. I sette
si affratellarono in treno, trasecolati alla vista del mare da Rimini in
Ancona. Il rettile d'acciaio chiuse per loro la bella avventura del viaggio
alla stazione di Osimo; qui trasbordarono con le valigie e fagotti sulla «
biga » che li portò al trotto a Montefano. La gioia incontenibile dei «
vecchi », che da una settimana circa aspettavano la grande « infornata » dei
nuovi, esplose nel collegino; su tutti spiccava
l'umorismo e il brioso accento romano dell'alunno Artusi. Perfino il
sagrista, Fra Alessio M. Smuli, corse a
complimentarsi: « Accinnini! —
esclamò col suo intercalare inconfondibile. — Uh quanti! Sette! Belli davvero
questi figliuoli! » Erano realmente messi
bene in salute questi ragazzi della nostra montagna, anche se di primo
acchito sembravano un po' legnosi e impacciati ! Grassotelli
tutti e rubicondi, specialmente i più piccoli, fra i quali si distingueva
Giuseppe Rossi per i suoi occhi fortissimi, lincei. Sensibilissimo, schivo ad
ogni coccolamento, a quanto ci riferiscono, aveva
innato un senso delicatissimo della purezza. Ordinato, esatto, rifuggiva da
qualsiasi sciatteria, quantunque avesse il vizietto di stillare inchiostro
sul banco. Ragione per cui il suo Maestro, Padre Gabrielli, cui nulla
sfuggiva per un fiuto magnetico o astuzia, quasi volpina, tanto da poter
sembrare eccessivo nelle misure correttive, ebbe la santa pazienza di contare
le infinite bollicine che impillaccheravano il banco e giunse alla somma di
due anni senza vino se avesse dovuto applicare il metro di sanzione: un
giorno per ogni macchia. Comunque l'alunno Rossi, nonostante la riduzione
della pena, dovette starsene astemio per un paio di giorni! 10. « Un ragazzo in carcere ! ». Veramente l'argomento
di questo componimento d'Italiano che l'alunno Giuseppe Rossi svolse per
l'Esame di 4a Ginnasio nel luglio 1918 suonava così: « Vedendo
condurre in carcere un ragazzo ». Sono quattro paginette, scorrevoli nella
tessitura dei pensieri, piene d'enfasi moraleggiante, curate assai
nell'ortografia e punteggiatura. Generoso il voto, nove e mezzo, consentaneo
alla bordata finale di predicatore: « Si sa che dai frutti si conoscono gli
alberi: alberi buoni non possono far frutti cattivi. Oh sì! Tolgano i
genitori, i maestri, Cristo e la sua legge dal cuore dei figli e dei discepoli
e ben presto le carceri si riempiranno e le case saranno gettate in lutto !
». Il profitto del nostro
alunno nei 5 anni di scuola trascorsi nel collegino
di Montefano fu senz'altro positivo e lusinghiero, quando si aggiunga agli
esami della Prima Sessione del 1918 i seguenti voti: due nove nelle versioni
di Latino e 10 nel problema di
matematica. Il primo anno che egli
fece, appena entrato (1913-14) fu come una iniziazione al Latino e
un'integrazione del Corso Elementare, con Quarta e Quinta abbinate, in cui,
per abituare il ragazzo ad una assimilazione di concetti e ad una proprietà
di linguaggio, s'intensificò la lettura in comune di antologie e di buoni
testi di novelle. Queste lezioni collegiali le presiedeva l'alunno più
anziano non tanto per età quanto per gli studi compiuti, Luigi Artusi, che,
per spiccata intelligenza, sapeva cogliere e riassumere i punti precipui e
salienti. Gli altri 4 anni del
Ginnasio furono svolti con regolarità dal 1914 al 1918, sotto la tutela
disciplinare sempre del Padre Gabrielli e sotto l'impegno didattico dei
Padri: Giacomo Filippo M. Mattioli e Gregorio M. Dal Monte, finché la coscrizione
obbligatoria, durante la prima grande guerra, non chiamò i suddetti tre Padri
a difendere i sacri confini della patria. Le scuole continuarono egualmente
con gli insegnanti: Padre Alessio M. Gamberini, Vicario Priore, Padre Filippo
M. Gallerani e Padre Giovanni M. Pioppi sostituto
del Maestro. L'orario scolastico,
come abbiamo letto nelle Cronache, non era certo malvagio! Cinque giorni di
scuola, escluso il giovedì, con 2 ore
settimanali per l'Italiano,
Latino, Greco e Francese e un'ora per la Matematica, Storia e Geografia. Così
pure l'orario disciplinare non opprimeva, anzi indulgeva molto alla
ricreazione, con due ore pomeridiane, dalle 3 alle 5. In questo impegno di
equilibrato lavoro crebbe la giovinezza di Giuseppe Rossi ! 11. « Povera la
mia Comunità ! ». Correva il mese della
«spedizione punitiva», maggio 1916, quando le armate austriache infrangevano
i loro sforzi contro i nostri cardini difensivi del Pasubio e del Coni
Zugna. Il «guerrone» si alimentava d'intensità; i
primi eroi dell'irredentismo irroravano la loro fede col proprio sangue:
Cesare Battisti e Fabio Filzi. Anche a Montefano l'eco
della guerra turbò gli animi. Già prima la morte del Santo Padre, Pio X,
aveva lasciato tutti in costernazione, la cui notizia giunse « come un
fulmine a ciel sereno ». Dagli alunni si fecero preghiere
propiziatorie, con Esposizione del SS.mo ed Adorazione, a due a due per
turno, mentre per le vie d'Italia si scontravano i partiti: interventista e
neutralista. Il 20 maggio 1915, 15 giorni dopo l'orazione alata ed irruente
di Gabriele D'Annunzio allo Scoglio di Quarto, gli alunni ancora alle ore 8
si trovarono ai piedi della Madonna Addolorata « per scongiurare la guerra
ormai imminente ». E scoppiò la guerra!
Intanto subito voci incontrollate del paese spinsero alcuni ragazzi ad
armarsi di sassi per amareggiare e colpire la Comunità, quasi corresponsabile
del disagio nazionale, conseguente al conflitto: « Per parecchi giorni
vennero lanciati sassi nell'orto con pericolo per gli alunni. Si tratta però
di ragazzi ! ». Intanto le cartoline
precetto per la mobilitazione generale giunsero ai Padri: Dal Monte, Mattioli
e Gabrielli e agli alunni, già validi per le armi: Majorelli,
Piccinelli, Marchioni e Poli. Il Padre Gabrielli,
Maestro e Priore, in procinto di partire scrive: « Voglia Iddio che presto
rinsaviscano i popoli e torni la pace! Facciano ritorno a questo convento
quei che la guerra li ha fatti partire! Rimangono un converso e sei soli
alunni! Povera la mia Comunità!». Sì, 6 alunni solamente,
però buoni e bravi! Soprattutto Giuseppe Rossi! Chi capitò a Montefano in
licenza militare ricorda ancora di quel ragazzo « il comportamento riservato,
serio ma affabile e giocondo ». Al « guerrone » seguì, alla fine di settembre 1918, la « spagnuola »; l'epidemia in paese fu mite: « A Montefano
presentemente si contano 600 ammalati, in forma non grave ». In convento il
contagio dilagò dal 13 al 18 ottobre e prese Padri e collegiali ; però il 20
diversi erano già in convalescenza: « Già alcuni alunni vengono giù a pranzo
». Dunque Giuseppe Rossi si rimise presto in salute, invece la sorella Sista
a Fradusto vi lasciava la vita ! Il primo lutto in
famiglia ! 12. La biga del « sordo ». Svaghi e distrazioni,
atti ad alleggerire l'impegno quotidiano dello studio, a conciliare
l'allegria e a rompere la tetraggine, conseguente allo stato di saturazione
di una ferrea disciplina, non erano molti, fatta eccezione delle amene
passeggiate a Loreto. Comunque in Collegino era
arrivato da Torino un harmonium nuovo; era andato a svincolarlo alla stazione
di Ancona il vetturale,
Angelo Bonifazi. La piccola « Schola cantorum » dei collegiali debuttò l'8 dicembre 1914 con una Messa a due voci del
Bottazzo. Ricreava pure lo
spirito degli alunni la loro partecipazione a certi riti popolari che si
svolgevano il Venerdì Santo nella Collegiata di S. Donato. Il cronista ci
riferisce: « 29 marzo 1918. I collegiali assistono alle Tre Ore di Agonia.
Alcuni partecipano alla schiodatura di Gesù morto; tre in cotta e tonacella
tengono i cordini del carro, gli altri recano in mano il cero ». Momenti di grande
distensione potevano dirsi le passeggiate, talvolta a passo bersaglieresco,
per i colli ridenti che digradano verso il mare, tra Montefano ed Osimo, in
un ampio arco concentrico di azzurro e di verde. Quelle gite si concludevano
talvolta sotto lo scroscio della pioggia o al soffio gelido della tramontana. Loreto tuttavia
rimaneva sempre la gita-pellegrinaggio per eccellenza. Gli alunni vi andavano
o in aprile o in agosto, al primo albeggiare e sempre a piedi; però prudenzialmente
si prenotava una carrozza, la biga del « sordo », la quale raccattava, specie
nel ritorno, i più provati. Simpatica questa figura
popolana, arguta e bonaria, nominata il « sordo » ! Era un curioso
automedonte che tra schiocchi di frusta e zaffate di aleatico sul volto ti
rintronava gli orecchi su quel trespolo, in un sballottamento infernale! Così
nell'estate del 1917, al ritorno da Loreto, Giuseppe Rossi è fra i 4 alunni
che provano le delizie della biga del « sordo ». L'ultima passeggiata a
Loreto avvenne in compagnia dei Padri Benedetto M. Marconi e Gesualdo M.
Rocca, giunti a Montefano per un periodo di licenza militare dall'Ufficio Notizie
di Bologna. Dei collegiali solo tre vi partecipano: Ardilio
Pagnini, Antonio Mattioli e Giuseppe Rossi.
Quest'ultimo, che attendeva con ansia l'ammissione al noviziato, rinnovò la
sua consacrazione alla dolce Madonnina nera. Aveva ormai 16 anni; l'età
giusta per andarvi! 13. A Bologna con un solo compagno: Antonio Mattioli. Quando il 27 novembre
1918 i tre collegiali, idonei al noviziato, Amerigo Berti, Giuseppe Rossi e
Antonio Mattioli, diedero addio a Montefano, per recarsi a Bologna, da poco
si erano spenti gli echi in paese per l'entusiasmo popolare che aveva
suscitato il ritorno alla madre patria di Trento e Trieste e per la firma
dell'armistizio avvenuta a Villa Giusti. Da poco era stato ammainato il
tricolore, « esposto alla finestra che da sopra il cappellone, accanto al
portone del convento», che aveva garrito per una settimana intera. A Bologna il 29 sera
s'iniziarono gli Esercizi Spirituali, in concomitanza con la Comunità dei
Servi. Il 7 dicembre interviene un fatto nuovo: Amerigo Berti decide di
ritornarsene per sempre alla nativa Campeggio di Monghidoro. Giuseppe Rossi
rimane con un solo compagno: Antonio Mattioli. I due costituiscono un patto
di fratellanza, di gemellaggio, nella fortezza dell'ideale, nell'acutezza
dell'intelligenza, nella magnanimità del cuore: intesa che li porterà alle
più alte sfere del successo e dell'azione; l'uno incomparabile Parroco e
Superiore Provinciale, l'altro Vescovo Prelato, Missionario ardente. La sera dell'Immacolata
nella Cappellina del Convento, dalle mani del Padre Provinciale, Padre Amadio
Maria Brugnoli, ricevono l'abito religioso e il
nome di Fra Giovanni Maria e di Fra Giulio Maria, volendosi ricordare
Giovanni Petrucci, presunto martire fra gli Ussiti e Giulio Arrighetti,
professore all'ateneo di Pisa. Il Noviziato si svolge
sotto la guardinga oculatezza del Maestro, Padre Luigi Maria Tabanelli, anima asceta che sa trasfondere nei due
giovani il calore sereno d'una vita osservante. Il Padre Benedetto Maria
Marconi, teste vivente di quegli anni,
ama ricordare: « Il
maestro stimava tanto Fra Giovanni... che spesso lo
lasciava uscire a passeggio col solo compagno di noviziato, cosa a quei tempi
quasi inconcepibile, specialmente con un maestro della tempra del Padre Tabanelli ». Eletto il Tabanelli
a Superiore Provinciale, il 24 giugno 1919, subentrò il nuovo Maestro, Padre
Gesualdo Maria Rocca, spirito pacato, ingegno meditativo. Con questi un
giorno i due novizi posano per una foto: Fra Giovanni è longilineo, con le
spalle spioventi. Allo scader dell'anno
di Noviziato, il Provinciale Tabanelli riceve la
Professione dei voti semplici e consegna loro l'obbedienza per Roma, al
Collegio « S. Alessio Falconieri », firmata dal Vicario Gen. Padre Agostino
Maria Sartori. Si fanno le valigie, si fa una foto ancora e nell'ora
pomeridiana del 10 dicembre 1919
partono speranzosi per l'eterna città. 14. « Le scuole erano incominciate da un pezzo ». Con queste parole il
Padre Benedetto Maria Marconi, allora Lettore di Logica, Critica e Ontologia
al « S. Alessio Falconieri » di Roma, in Piazza S. Nicola da Tolentino 31,
c'introduce nell'ambiente scolastico dei giovani studenti di Liceo e teologia
dei Servi di Maria. In realtà le lezioni s'erano iniziate immediatamente dopo
la prolusione, tenuta per l'inaugurazione dell'anno accademico dal Rev.mo
Padre Generale, Padre Giuseppe Maria Lucchesi, il 15 ottobre 1919. Poco più
d'un mese e mezzo non dilazionò tanto l'aggiornamento ai programmi, in pieno
svolgimento, da parte di Fra Giovanni e né creò per lui una seria difficoltà.
Con la sua forte intelligenza riprese in breve tempo il filo delle lezioni
perdute: « La diligenza di questo caro giovane — continua il Padre Marconi
nella sua testimonianza — e i suoi talenti non comuni ben presto lo
portarono alla parità coi suoi compagni ». Se la guerra 1915-18
non avesse imposto il servizio militare a diversi di questi giovani, il
plenum si sarebbe aggirato sulle 35 presenze, sotto la direzione del Maestro
e Priore, Padre Agostino Maria Sartori, il quale, essendo anche Vicario e
Consultore Generale dell'O.S.M. e Penitenziere Minore nella Basilica
Vaticana, era coadiuvato, nella sorveglianza dei giovani, dal Vice-Maestro,
Padre Paolo Maria Gabrielli. Il Biennio Liceale
(1919-1921) fu affrontato da Fra Giovanni con decisa volontà e ottimi
risultati, sotto il pungolo dello stesso Rev.mo Padre Generale, Padre Lucchesi,
umanista e poeta, cui sommamente stavano a cuore le lingue greca e latina,
tanto da dare egli per primo l'esempio col comporre un «Carmen » in onore dei
Sette Santi Fondatori, pubblicato in « Acta Ordinis
Servorum B.M.V. » e declamato in anteprima per
l'accademia del 17 febbraio 1919, che s'inizia: Urbe moratus
in alma, cui Florentia nomen. I voti dell'ultimo anno
di Liceo di Fra Giovanni appaiono superlativi: Teoretica 10, Morale 10,
Fisica 10, Sacra Eloquenza 10. Ecco un giudizio del Lettore di Logica sulla
tesi del candidato Rossi per gli esami di giugno: Laudabile omnino opus confecit. Claritas et profunditas doctrinae nullibi desideratur. Con tale promettente
preparazione nel fior dei 20 anni, Fra Giovanni si affacciò al « curriculum »
teologico. 15. Un
memorabile contraddittorio. Il corso di Teologia fu
praticato da Fra Giovanni in due bienni, presso sedi e professori diversi;
l'uno al « S. Alessio Falconieri », sotto i Lettori: Angelucci, Baldini, Calvani, Gas-ser, Lépicier, Mills, Raffaelli, Sartori, l'altro invece all'Ateneo di «
Propaganda Fide », nella sede vecchia di Via Mignanelli, alla scuola di Padre
Damen e dei Monsignori, Agagianian,
Baranzini e Ruffini. Quel passaggio ad un
Istituto Pontificio, dove convergeva l'attrito culturale di un migliaio e più
di studenti delle più svariate nazionalità accelerò in Fra Giovanni
l'appetibilità del sapere e gli fece intuire che quella era un'occasione e
questione d'onore, di alto prestigio per il Collegio d'origine, per cui si battè fino all'estremo delle possibilità intellettuali,
assieme al confratello bolognese, Fra Giulio Maria Mattioli. Due menti
sublimi, limpide, sagaci; il primo, più metodico e costante arrivava in
profondità con mordente di fissaggio più indelebile, in quanto dotato d'una
volontà ferrea, adamantina;
l'altro, Fra Giulio,
più estroso, aveva
impennate e sprazzi di genio, che lo portavano in poche sgobbate, alla
pari del confratello. Vive ancora « e veste
panni » chi ricorda un duello, a botta e risposta, in cui i giurì d'onore
furono la scolaresca stessa, gli 800 studenti che frequentavano le lezioni di
Morale del Padre Damen. In piena aula il
professore invitò ad alzarsi chi era disposto a sostenere un esame pubblico
della materia. Si fece un silenzio di tomba. I due nostri giovani si
guardarono negli occhi, accolsero il guanto di sfida e si accese un
memorabile contraddittorio. L'interrogazione s'iniziò pacata, sicura; ma
quando si entrò nella vivacità della discussione e l'insigne moralista
cercava di forzare la mano con domande, via via sempre difficili, i nostri
studenti si alternavano nelle risposte a colpi di stocco, senza indugio e
timidezza. La scolaresca non seppe contenere l'ammirazione, prese ad
applaudire con un crescendo fragoroso, in appoggio e in pieno consenso coi
due campioni che così abilmente si dibattevano. Fu un vero trionfo e per il
Collegio « S. Alessio » e per i Servi di Maria ! E dire che Fra Giovanni
chiuse i suoi studi a « Propaganda Fide » senza adottorarsi!
Gliene precludeva forse la possibilità, oltre che la sua modestia, il fatto
di non aver ivi compiuto il 1° Biennio Teologico. Peccato ! 16. « Tanti
pensieri... degni d'un
genio ». Un diario, cui abbiamo
già accennato, riportandone qualche sforbiciata, egli non lo scrisse nel vero
senso della parola, nei 6 anni che stette a Roma. A nostro avviso si tratta
di « Colloqui »: un quadernetto di 18 pagine, a caratteri fitti, contenenti
25 brani o paragrafi, tutti datati, che decorrono dal 30 ottobre 1920 al
maggio 1925. Sono ricordi, rievocazioni,
pensieri tenuissimi, sfoghi
d'animo, emozioni del cuore,
quasi foglie sparse, staccati dalla tenera pianta dai colpi d'una benefica
tormenta che nel segreto d'una cella turbinava improvvisa! Da quelle
paginette si può intravvedere che il suo cuore era una fiamma viva di palpiti
e la sua mente un mite uragano di pensieri intraducibili: «Roma, 15-5-1921.
Tanti pensieri che conservati nel santuario del nostro amor proprio ci
sembrano originali, degni d'un genio, appena manifestati ad altri ci appaiono
estremamente banali, insulsi, sciocchi ». Ecco una visione retrospettiva dei
suoi affetti: «Roma, 4-3-1924. Oh, no, il sacerdote, il religioso non ha un
cuore di spugna. Il nostro cuore ha palpiti intensi, balzi d'amore
sconosciuti. L'amore è la ragione, è il fine e diventa l'atmosfera della
nostra vita. L'amore di Dio ci attrae, c'infiamma, e quanto più si ama Dio,
tanto più intensi, più nobili, più generosi, sono gli slanci d'amore per gli
uomini... Oh sì, sotto l'abito del frate, del sacerdote, palpita un cuore
che con l'avvicinarsi a Dio, non cessa d'essere umano e sensibilissimo...! ». A 18 anni non è comune
avere una profonda e integra visione della propria giovinezza come l'ebbe Fra
Giovanni : « Roma, 21-11-1920. Se è vero, come dice Coppèe,
che la giovinezza è l'attesa della felicità... è pur vero che nella
religione cristiana, fedelmente praticata, si rinviene una perpetua giovinezza,
perchè la speranza di una felicità assoluta...
allieta e sostiene la vita... E' forse questa ragione per cui tanti santi,
già vecchi, avevano ancora i sentimenti freschi, gioviali, entusiasti dei
giovani? ». Entusiasmo, ardore,
nella mite bufera del cuore e della mente, talvolta cedono alle lacrime, a un
pianto represso, senza nube però di pessimismo. E' il pensiero dominante dei
genitori lontani! Di esso ne parleremo ancora: «Roma, 8-9-1923... Spesso mi
torna in mente la vita dura e desolata dei genitori, vecchi, cadenti... ». 17. Tristi e dolci ricordi. Roma e la Cristianità
sono in lutto; è morto il Papa della pace, Benedetto XV, stroncato da
bronco-polmonite alle ore 6 di domenica, 22 gennaio 1922. La notizia coglie
nel sonno i romani; qualcuno ha già esposto a mezz'asta la bandiera
abbrunata. Fra Giovanni annota i momenti patetici di quella mattinata
invernale: « Roma, 22-1-1922. Il Papa è morto stamattina! Col volto velato di
tristezza usciamo per la solita passeggiata. Da principio nulla appare di
straordinario; solo qualche bandiera a mezz'asta ci fa vedere che v'è ancora
qualcuno che non si vergogna di onorare pubblicamente il Vicario di Cristo. A
piazza di Spagna le strade cominciano ad essere affollate. Da Castel S.
Angelo a S. Pietro è una vera processione. La piazza è quasi gremita. Molti
sono pigiati presso il portone semichiuso del Vaticano... Le campane suonano
lente, tristi, lamentevoli! E' morto
il Papa!». Fra Giovanni sulla scia
dei ricordi si rifà ai giorni in cui l'Arcivescovo Giacomo Della Chiesa era
al governo della chiesa di Bologna ; rivive i momenti felici della
fanciullezza quando Egli, il Presule, capitava a Fradusto
in visita pastorale e ritorna alle giornate delle apoteosi nella Basilica
Vaticana: « Dopo alcuni anni lo rividi in S. Pietro in un corteo di Trionfo
ma era lontano e quella mano benediceva non più un fanciullo soletto nella
campagna ma una moltitudine enorme plaudente!... Avevo desiderato di poter
un giorno, ardente missionario, inchinarmi a lui, Papa delle Missioni, dirgli
che mi benedicesse, perchè potessi condurre molte e
molte anime sotto il suo mite e sapientissimo governo... Vana speranza, ei
non è più!... Un senso di abbandono mi sopraffà... Entro in S. Pietro,
affollato. M'inginocchio davanti a Gesù e mi querelo con Lui e sospiro ai
suoi piedi... Bacio il piede a S. Pietro e sto a lungo genuflesso al suo
sepolcro. Il Signore dia pace a Lui e dia alla Chiesa un degno successore!...
Esco; la folla taciturna è aumentata; il cielo, partecipando alla tristezza
comune, si è rannuvolato e dall'alto scende ancora una volta il mesto
rintocco che si perde in un gemito prolungato e mi penetra fino al fondo
dell'anima e vi si ferma indimenticabile ! ». Tristi e dolci ricordi
che alimentano la vampa di nobili desideri e sogni giovanili: essere
Missionari in terre lontane! 18. La partenza del Missionario. Pochi Religiosi del suo
Ordine, come il Padre Giuseppe Maria Albarelli, lasciarono nell'animo di Fra
Giovanni un'orma così indelebile e un fascino così seducente, quanto lo si rileva
da una delle più belle paginette dei suoi « Colloqui ». Ben meritava rendere
omaggio e quasi giustizia a chi, dopo le esperienze del Rettorato
Provinciale, dal 6 giugno 1920 al 31 maggio 1922, se ne andava in terra di
Missione, « nell'inferno verde », come egli diceva, dell'Amazonas
con l'impetuosità sincera della perenne giovinezza. La partenza dell'Albarelli
dalla prediletta Bologna avvenne all'una dopo mezzanotte del 24 luglio 1923,
in compagnia del cognato, Avv. Delfini, con meta al porto di Genova per
l'imbarco. Da quel momento i suoi giovani gli sono vicinissimi e col pensiero
e con l'affetto e primo fra tutti Fra Giovanni che scrive: « ... Mi pare di
vederti, o buon Padre, salutare la patria, con un sorriso: sorriso che non è
solo la rassegnazione dell'esiliato, ma è la gioia intima del conquistatore
sicuro. Naturalmente tu dovesti amare il paese natio, ma chi ti conobbe si
persuase che tua patria era ovunque ci fosse del bene da fare, delle anime da
conquistare». L'Albarelli, era nato a
Finale Emilia il 15 dicembre 1873; sulla cinquantina, non però compiuta,
salpava, la seconda volta per le Americhe, diretto nel mezzogiorno, nella terra
discoperta da Pedro Alvarez Cabrai fiducioso nell'ardore che Dio gli faceva
scorrere nelle vene, certo che la sua intramontabile giovinezza gli
riprometteva colà qualcosa di ben più grande ; su questo si sofferma Fra
Giovanni : « E tu, o Padre, hai veramente vissuta questa vita di perpetua
giovinezza, il cui ardire, il cui fuoco dura quanto la speranza in Dio. Ed
ecco che a 50 anni l'ideale missionario ha brillato davanti al tuo sguardo ed
ha eccitato il tuo entusiasmo non meno di quel che potesse eccitare
l'entusiasmo di un giovane ventenne... Ebbene parti ora sostenuto dal tuo
entusiasmo, affidato alla grazia di Gesù, all'amore di Maria, all'aiuto del
Tuo caro S. Pellegrino... Parti, accompagnato dagli auguri di tanti che hanno
intuito simpatia per te, che ti hanno ammirato, ti hanno amato. Parti con
l'augurio di chi osa accarezzare la speranza di lavorare un giorno colà al
tuo fianco, sostenuto dal tuo entusiasmo... ». Raggiungere il Padre
Albarelli e presto, ecco l'ideale di Fra Giovanni maturatosi in questi anni
di formazione ! 19. Dalla finestra. Il titolo di questo
colloquio ce lo fornisce lui stesso a pag. 3 e in data, Roma 28-11-1922. Sono
alcuni istanti di intima meditazione, d'incontro immediato con quel po' di
azzurro che l'inverno, ormai iniziato, benignamente concede, al davanzale
aperto della finestra: « In queste giornate
serene, tiepide e quasi primaverili, uno dei più puri e graditi godimenti me li
prendo nella solitudine della mia cella. Stanco dalla preoccupazione intensa
di due ore di scuola e qualche mezz'ora di studio, mi alzo da tavolino,
spalanco la finestra e passeggio nel poco spazio lasciato libero dai mobili.
Passeggio, leggendo, declamando a memoria qualche brano dei nostri classici
autori. Di tanto in tanto aspiro a pieni polmoni l'aria pura, ancor
mattutina, che mi rinfresca le energie mentali e sembra infondere nuova
agilità alle membra. La mente più libera più leggera, segue con straordinaria
facilità tutte le elevazioni, tutti i voli del pensiero e dello stile
dell'autore che leggo... ». Intanto i riflessi del
sole battono nell'edificio di fronte al Collegio Armeno e quello sfumare di
luce e vapori distoglie un istante l'attenzione della lettura distensiva e
Fra Giovanni osserva: « Attraverso la
finestra di contro, nel Collegio Armeno, vedo spesso il Patriarca che
passeggia al par di me: un venerando vecchio, di mezzana statura, con faccia
propriamente orientale, in cui la barba folta bianchissima fa strano contrasto
collo zucchetto rosso-porpora di Patriarca. Passeggia il buon vecchio,
recitando il breviario, legicchiando ; più spesso
meditando... ». Il desiderio di
mettersi un momento, a braccia conserte al balconcino, lo spinge ad
infrangere un tantino la « regolina » sulla curiosità; in fondo che male c'è:
un angolo di quiete e di verde quell'orto sottostante: « Abbasso lo sguardo
all'orto sottostante e la vista di cinque o sei palme che vi crescono superbe
mi ricorda i deserti, l'Africa, tante anime che vivono all'ombra dei palmizi,
anime abbrutite che aspettano la Buona Novella e forse l'aspettano da me!...
Uno zampillo che gorgoglia nel mezzo dell'orticello mi accarezza dolcemente
l'orecchio. Gli ultimi crisantemi avvizziti e cascanti mi rammentano cari
trapassati !... ». Il pensiero dei morti,
dei cari suoi morti, dei sofferenti genitori, ecco l'assenzio delle ore
serene in quella amena solitudine della cella! 20. Il pensiero dominante. Quanta apprensione,
quante segrete lacrime sgorgano dai « Colloqui » al pensiero dei genitori,
anziani, sofferenti, inabili al lavoro! Sulla sua salute non ha un accenno ;
erano invece papà e mamma che gli premevano. Intanto alla salute di lui
nel1923, l'anno di un'avvisaglia contro un male invisibile che poteva però
dirsi il potenziale contagio di quella che fu la tisi, prima ossea e poi
polmonare, provvedettero i superiori, coll'inviarlo
alla casa natale di Fradusto, dal 12 luglio al 2
settembre. Oh giorni, belli per l'amenità della stagione, ma tristi per
l'animo ferito di Fra Giovanni, condivisi coi genitori, debilitati nelle
forze, disfatti dalla sventura, in una casa vuota, senza il sorriso
dell'adorato Ferruccio ! Al ritorno a Roma scriverà, rivolgendosi al fratello
defunto: «Di te che ho visto? La cameretta in cui dormivi! I tuoi libri che
sono divenuti miei! La casetta, ove ti eri formato un nido ! Le strade da te
battute tante volte! Infine la tua tomba! ». L'immagine santa di
babbo Costantino e di mamma Romana batte insistente alla mente: « Vorrei pur
lasciare qui un ricordo dei sentimenti provati nel tornare in famiglia a
convivere coi miei per circa un mese. Ma quei sentimenti furono così vari,
così mutevoli, così confusi che mi riesce impossibile esprimerli a me stesso.
Una cosa sola intesi bene come mai per l'innanzi: la gravità del sacrificio
impostoci dalla nostra vocazione, quando ci comanda: Exi
de civìtate tua et de cognatione
tua et de domo tua. Mentre il nostro cuore è combattuto dal desiderio di
seguire quella voce superna da una parte, dall'altra è combattuto dal
bisogno imperioso di non essere più stranieri al luogo dove siamo nati,
dalla brama ansiosa ed accorata di rendere meno duri gli ultimi giorni dei
genitori, vecchi, cadenti. Chi può impedire che il cuore sanguini e gli occhi
versino lacrime?... Sento una smania d'esser loro vicino, di mostrar l'amor
mio, l'immensa mia gratitudine! Che meraviglia se nella cella solitaria passa
qualche ora triste e le lacrime si riaffacciano? ». Povero Fra Giovanni!
Solo oggi ci è svelato il suo segreto martirio, pari alla gioia d'un alba,
rosea di speranze, fattasi precocemente scarlatta e amara dalle molte
improvvise afflizioni ! 21. Date memorabili. Entriamo nella selva
delle date memorabili. Professo solenne dal 25 ottobre 1924, inizia l'anno
nuovo, 1925, col ricevere il Suddiaconato da Mons. Palica nella Cappella del Pontificio Seminario
Lateranense il 25 gennaio. Non è ancor trascorsa la prima decade di marzo che
un telegramma lo avverte della malattia gravissima del babbo; giunge in tempo
per confortare e assistere l'amatissimo genitore all'estremo passo. Il Sabato
Santo dell'11 aprile riceve il Diaconato a S. Giovanni in Laterano dal Card.
Vicario di Roma, Card. Basilio Pompili. Nelle vacanze estive, mentre i
confratelli studenti sono a trascorrerle presso il Convento dei Servi di S.
Martino ad Orvieto, egli si prepara al sacerdozio e ne riceve la Sacra
Ordinazione nella Chiesa dei Santi Apostoli dal suddetto Card. Vicario di
Roma la domenica del 9 agosto. Il 14 agosto è a Monte Senario
coll'impareggiabile Padre Giulio Maria Mattioli. Il giorno seguente, festa
dell'Assunta, la Parrocchia di Fradusto lo accoglie
trionfalmente per la Prima Messa solenne, fra scoppi di mortaletti, scampanio
di doppi, lancio di palloni e falò alla sera sull'imbrunire. Rimane alcuni
giorni con la mamma e il fratello Emilio. Poi ridiscende ai Servi di Bologna.
Primi atti di ministero: la prima domenica di settembre, per l'Ora Santa «
Pro vocationibus » tiene alcuni discorsini
eucaristici; assiste alla morte santa e ai funerali del compianto Padre
Francesco Maria Borri l’11 e il 14 settembre. La domenica seguente, solennità
dell'Addolorata, celebra la seconda Messa Solenne nella basilica dei Servi,
presenti gli Alunni di Ronzano e i primi compagni di « collegino
», ormai diaconi: Tubertini, Marchioni, Piccinelli.
A Roma si fanno già le pratiche del passaporto per il Brasile; egli il 22
settembre ritorna a Fradusto per vedere ancora una
volta la carissima mamma Romana. L'8 novembre a Roma nella chiesa di S.
Maria in Via riceve il Crocifisso di Missionario assieme ad altri quattro
confratelli e due suore ; si fa
persino la foto ricordo. Scoppia la folgore
della malattia: la pleurite. Addio ideale delle Missioni! Periodo di stasi e
di ripresa a Bologna, nei primi sei mesi del 1926. La Dieta Prov. del 26 giugno lo nomina Parroco al Sacro Cuore di
Corso Tripoli in Ancona. Un mese d'intenso ricupero ad Orvieto coi Professi,
affranti per la tragica scomparsa nel fiume Paglia di Fra Filippo Maria Carloni. Il 31 agosto è di nuovo a Bologna per farvi i
bauli e il 3 settembre è sul posto del dovere in Ancona, con un filo di
salute, in una chiesa architettonicamente grezza, povera, senza casa e senza
beneficio. II Meriggio Di Carità e di olocausto 1926 – 1945 (Ancona – Bologna) 22. La sua chiesa. La chiesa, intesa come
grande famiglia di cuori e di spiriti di tutta quella buona gente del Rione
dell'ex-Corso Tripoli che ampiamente gli corrispose, fu tutta di sua
spettanza e se la forgiò lui « ab imis » nell'attirarla
al bene e a Dio con l'invitta costanza del suo esempio e con l'ardore del suo
sorprendente dinamismo. La chiesa invece
muraria la trovò così incompiuta, la ereditò spoglia di rifiniture e di
arredamento, ingombra ancora di laterizi, senza pavimento e senza battistero
e per di più oppressa da una vertenza giudiziaria, cui egli, estraneo ed
umile cireneo, dovè per forza sobbarcarsi, nel
silenzio di giorni duri e di notti insonni. Mortificato nello slancio e contenuto
nello svolgimento liturgico, cui tanto ci teneva, dopo 8 anni d'inerte ed
eroica attesa, come se quelle mura sacre avessero accolto finalmente gli
angosciosi sospiri di protesta di lui e dei buoni (oh quanti!) che avevano
condiviso le sofferenze di quel lungo calvario, scriverà sul Bollettino Parrocchiale,
febbraio 1934: « Inoltre bisogna pure
che si sappia che se da sei anni non si fa nulla per il compimento della
chiesa, non è per negligenza, ma perchè annosa
vertenza proibisce di modificare minimamente lo stato attuale della costruzione,
anche se l'edificio ne soffre e non risponde alle esigenze della parrocchia
». E quando nell'aprile
del suddetto anno fu tolta la inibizione e fu permesso l'abbattimento di
tramezzi che contenevano le « navatelle », la
notizia la renderà di pubblica ragione nel Bollettino, luglio-agosto 1934: « Erano passati quasi 5
anni senza che si potesse fare il più piccolo lavoro nella nostra chiesa.
Perciò nell'aprile scorso una vera esplosione di gioia da parte dei
Parrocchiani accolse lo sgombero delle navate laterali che, occupate da poco
materiale inutilizzato e chiuse da muri in foglio, davano al sacro edificio
l'aspetto orribile d'un cantiere ! ». Così s'iniziarono, a
bocconi, con sommette, raggranellate qua e là, i lavori più urgenti di
rifinitura che l'incuria forzosa, imposta dalla vertenza, aveva protratto ad
un limite massimo di pazienza: « Ormai è impossibile —
scriverà ai parrocchiani — rimanere sordi alle preghiere e alle proteste dai
parrocchiani che a ragione non sanno rassegnarsi a vedere la loro chiesa in
così deplorevoli condizioni. Se piove l'acqua entra a torrenti da ogni parte
del tetto, se tira vento le tegole ballano rumorosamente sul tavolato e,
peggio, volano sul terreno adiacente,
compromettendo l'incolumità dei passanti... ». 23. Precarietà d'un mandato. La parrocchia del Sacro
Cuore, nata dallo smembramento di quella di Pietralacroce,
sorse come un respiro vitale alla nuova zona residenziale di Ancona del
Rione Adriatico, allora di Corso Tripoli. La chiesa, che avrebbe dovuto ricordare
i caduti della recentissima guerra 1915-18, nacque così sotto l'egida d'un
Comitato, per la raccolta dei primi fondi, costituitosi in occasione del XXV
Episcopale di S. E. Mons. Giambattista Ricci,
Arcivescovo di Ancona nel dicembre 1920. Benedetta la prima pietra il 29
maggio 1921, s'iniziarono le trattative per la cessione della Parrocchia ai
Servi di Maria, i quali vi entrarono nel 1925, quando con Bolla Arciv. del 23 luglio venne nominato Economo Spirituale,
il Padre Amadio Maria Tinti, Priore e Parroco del Convento e Chiesa di S.
Pietro Apostolo in Ancona, Via Fanti 9: l'uno e l'altra distrutti dalla
seconda guerra mondiale e spazzati via dalla toponomastica cittadina. Nel dicembre 1925
affiorarono i dissapori con la ditta imprenditrice che portarono poi alla
nota vertenza giudiziaria. In questo clima di
ansia, quasi di esasperata attesa, in cui pari ad una gelata fuori stagione,
s'erano inceppati i lavori, abbastanza avviati, della chiesa, giunse, qual
angelo di bontà e di augurio, il novello parroco, il Padre Giovanni. Le
venerabili Suore, Maestre Pie Venerini, di Via
Maratta che furono le prime a complimentarsi, quando lo videro cosi
allampanato, delicatino, gracile, esile quanto la sua ombra, pensarono subito
alla precarietà del suo mandato. Come avrebbe potuto resistere con quel
soffio di salute? Come avrebbe potuto assolvere l'impegno di partire, a
bruzzico, ogni mattina da S. Pietro e farsi quella spola 4 volte il giorno?
e, digiuno ancora, confessare, celebrare, andare dagli ammalati, predicare,
presiedere adunanze? Eppure, miracolo delle possibilità umane, egli non
mancò mai all'appuntamento! Il carissimo Bruno da
Osimo ricorda come il Padre Giovanni, ancora col fiato mozzo, giungeva alla
sua chiesa: « All'alba lo vedevo venir su dalla deserta e solitaria nostra
strada... Un giovane sacerdote dai grandi occhi con un viso cereo, con la
mano destra fasciata, come se impressa vi fosse una stigmate di fuoco!». E iniziava la
celebrazione della Messa con l'ardore d'un serafino: « Il suo volto d'avorio
sembrava trasparente e tutta la sua figura acquistava una luce e un candore
che faceva stare con l'animo in sospeso ». 24. Lo salvò il Prof. Caucci. Il dicembre 1925 — come
si è detto — lo fermò sull'avvio all'ideale missionario, costringendolo a
ripiegare sui suoi passi e a veder partir da solo per il Brasile l'amatissimo
confratello, Padre Giulio Maria Mattioli. Alla base di quella intercezione vi
era qualcosa di ben più grave d'un comune deperimento organico, qualcosa che
ci fa rabbrividire nella rievocazione di Bruno da Osimo: «Mi confidò che
proprio nel giorno in cui dovevasi decidere del suo
destino di missionario, un flusso di materia purulenta lo prostrò e gli
troncò la via ch'egli sognava percorrere ». E proprio quel flusso,
sfogo rivelatore della tisia ossea, trovò la sua
eruzione cutanea prima nella schiena e poi nella mano destra. Ma il Prof.
Alberto Caucci, illustre clinico e Direttore dell'Ospedale Pediatrico di
Ancona, con pronto intervento e con efficace terapia, seppe contenere il
morbo, salvando il Padre Giovanni da sicuro declino o almeno da immediato
trasferimento. I superiori infatti, informati degli sviluppi cui andava
soggetta la salute del giovanissimo parroco, lo avevano fatto chiamare a
Bologna, il 15 settembre 1926, per un ulteriore esame specialistico ed erano
stati spinti nella Dieta Prov. del 14 giugno 1927 a
sostituirlo col Padre Anacleto Maria Brasa e di tenerselo a Bologna come
Direttore del Periodico mensile: « Il Servo di Maria ». Ma le circostanze
mandarono a vuoto i provvedimenti presi. Prima la presa, anticipata, di
possesso del Santuario della Ghiara a Reggio Emilia determinò l'andata colà
del Padre Brasa, poi le cure energetiche prodigate dal Prof. Caucci diedero
un'ampia schiarita e riportarono l'ottimismo sulla saIute
del Padre Giovanni, per cui tutto si mise a tacere e si stabilizzò e non si
parlò più di avvicendamento. Così l'entusiasmo missionario e il nostalgico
sogno di cavalcate lungo i sentieri impervi dell'Amazonas
egli li dirottò a prò della sua parrocchia, di cui
aveva già ricevuta Canonica Investitura il 24 luglio 1927, dopo 8 mesi dalla
Bolla Arciv. di nomina, Inter caetera, del 26 ottobre 1926. Tuttavia
l'innamoramento dell'ideale missionario gli rimase sempre nel fondo dell'animo,
come asserisce Bruno da Osimo: « Era un'anima ebbra di martirio e di
lontananze, sitibonda di approdi lontani verso i misteri del Brasile, trattenuta
invece a conforto delle anime nostre... ! ». 25. Le Maestre Pie Venerini. Quella loro casa, a due
passi dalla chiesa, che ora ricostruita porta il numero civico di Via Fabio Filzi 6, fu un recapito ed un rifugio provvidenziale,
unico, insostituibile, reso ancor più accetto e gradito dall'alto senso di
spiritualità e gentilezza che vi regnava, quando la superiora, Madre Rosa
Pianelli, accolse il Padre Giovanni per tutti gli 11 anni che vi fu Parroco.
D'altronde un'altra casa più indicata non v'era e non si poteva certo far
affidamento su quel ripostiglio, angusto e inadatto ch'era stato tirato su al
lato destro della chiesa, come sagrestia, per coordinare le prime
associazioni. Tanto più che il Congresso Eucaristico Regionale, da celebrarsi
in Ancona, era già alle porte. Così quelle 5 Suore
delle Maestre Pie (la cui presenza benemerita nella Chiesa Cattolica devesi alle eroiche virtù della Beata Rosa Venerini, di Viterbo, elevata agli altari nel 1952 da Pio
XII) oltre l'attività di assistenza alle Scuole: Materna, Elementare e di
lavoro per signorine, col sopraggiungere del Padre Giovanni, nel dare
generosamente i locali adatti, non indugiarono ad offrire la loro
collaborazione. Suor Lelia Biagioli, vivente ancora e cordialissima, ci ha rifatto
il curriculum del Padre Giovanni di quegli 11 anni di disagio: « Il poverino
non aveva nulla di confortevole dalla sua chiesa, sconnessa in ogni dove ;
senza porte ; dove vi faceva acqua da tutte le parti, quando vi pioveva; con
spifferi di fredde correnti da causare raffreddori e polmoniti ! Eppure qui
da noi, assieme con le nostre ragazze, si tirò su una Parrocchia
modello, la prima
della città ! ». Con l'aiuto di anime
buone, degne di lui, le quali costituirono un po' lo «stato maggiore» delle
organizzazioni che via via vennero sorgendo fra una popolazione di 5.000
anime, istituì e avviò floridamente: « L'apostolato della preghiera », « I crociatini », « I fanciulli cattolici », « Le donne di
A.C. », « Il circolo femminile », « Le
signorine della Schola
cantorum », « Le zelatrici della parrocchia
» ; cui si aggiunse nel luglio 1930 il « Circolo maschile Pio XI ». Vorremmo
ricordarle tutte queste collaboratrici del Padre Giovanni, se non altro per
dovere di gratitudine alla memoria benedetta di lui; moltissime delle quali
lo hanno raggiunto in cielo: ci sia consentito di nominarne alcune: Nevia
Burattini, Maria Grazia Barbieri, Ines Pomares
Meme, Alberta Cerutti, Nedda Meme Santelli,
Beatrice Montanari, Luisa Ferretti, Giulia Giampaoli,
Anna Rossi, Caterina Baldinelli, Ulderica Giammarchi,
Bianca Rinaldini, Giovannina Farinelli, Maria
Tiberi Zotta, Carlotta Mancini Mordenti. 26. Il Circolo Giovanile Pio XI. Lo venne ad inaugurare,
il 20 luglio 1930, il Presidente Generale della G.I.A.C. Avv. Jervolino, il
quale, compiuta la cerimonia, fu poi ospite della Comunità di S. Pietro. I
giovani se li preparava e li selezionava il Padre Giovanni, con quel tatto
ed entratura che lo distingueva un novello Giovanni Bosco. Erano essi ragazzi
di famiglie sia distinte che umili; molti avviati alle scuole superiori, di
cui egli conosceva i problemi educativi, le difficoltà nel profitto.
Manifestava quando parlava loro, una traducibilità innata o un inserimento
elastico nel mondo delle loro piccole lotte. Bastino questi pensieri ed
esortazioni da lui rivolte in occasione d'una Comunione Pasquale Studentesca: « Carissimi giovani...
Voi qui raccolti indubbiamente sentite il valore della bontà: quella bontà
che per innata generosità voi ammirate, ma trovate difficile a praticare.
Ecco Egli, il Signore, viene a mettervi a parte della sua bontà. « Voi vagheggiate la
bellezza di un'anima pura ma scorati di fronte allo incalzare delle
tentazioni avete ceduto le armi, vi siete rassegnati a soccombere. Io porterò
a voi, con ben altra forza, le parole di Cesare: — Porti Gesù e di che temi? I suoi giovani li voleva ben informati,
istruiti in religione e per questo approfittava di predicatori di grido, in
occasione del triduo, del Sacro Cuore o di Sacre Missioni, quali Mons. Crocetti di Fabriano, Mons. Alessandrini da Monte Urano, per tener loro dei
corsi di apologetica. II maggio
1931 fu memorabile per il Circolo Pio XI ! Accaddero due visite, una
antitetica all'altra ! Il 28 di quel mese giunse da Vicenza il rev.mo D.
Francesco Regretti, inviato dalla Presidenza Generale, per un esame
catechistico ; un risultato eccellente ! Scrive il Cronista : « Forse questo
Circolo è il primo delle Marche per cultura religiosa ». Nella notte tra il 30 e
il 31 altra visita, di ben altro sapore ! Una pattuglia di 10 « tra agenti di
P. S. militi in divisa e fascisti in borghese » prelevò a S. Pietro il Padre
Giovanni e al Sacro Cuore sequestrò tutto ciò che apparteneva al Circolo Pio
XI ; appropriandosi perfino di L. 300, indice dei fioretti e delle privazioni
cui i giovani si erano sottoposti col non fumare durante la Settimana Santa.
E dire che quel gesto fu interpretato uno sciopero del fumo, un atto di sabotaggio
ai monopoli dello Stato! 27. Le due Visite Pastorali. A 20 anni dal suo
ingresso nella sede di S. Ciriaco, l'Ecc.mo Arcivescovo di Ancona, Mons. Giambattista Ricci, allorché riservò alla
giovanissima Parrocchia del Sacro Cuore una lunga Visita Pastorale, dal 5 al
16 febbraio 1928, ben s'accorse e se ne compiacque che qualcosa di
sostanziale era cambiato nel Rione Adriatico. I padri Servi di Maria vi
stavano lavorando in profondità negli animi di quella popolazione: merito
del giovane sacerdote dal viso ascetico e affilato; il Padre Giovanni. Anche
se i muri della chiesa, ancor squallidi, erano là mortificati, quasi peritosi
di quella nudità e incuria, ci si poteva consolare e compiacere della
splendida parata di 106 « comunicandi » e di altrettanti «cresimandi» che
aveva salutato e chiuso l'anno famoso del Congresso Eucaristico Regionale di
Ancona del 1927 e che ora si ripresentava all'Ecc.mo Presule per tributargli
una calorosa accoglienza. Quella turba di vite innocenti, significativo
polso e termometro per una parrocchia in fiore, apriva il cuore alle più
lusinghiere speranze. Il Cronista di quei giorni rileva senza eccessi
aggettivali: « Si è saputo che l'Arcivescovo è rimasto molto molto contento
del grande intervento del pubblico e del gran numero di Comunioni.
Assistevano in presbiterio « I Crociatini », « I
Fanciulli Cattolici » e un buon numero di uomini della Parrocchia ». E pensare che il Padre
Giovanni appena da 17 mesi, nonostante il fardello della salute sempre
precaria, vi operava e per di più mostravasi alieno
da certe improvvisate orchestrazioni o imbastiture dimostrative di masse. La seconda Visita
Pastorale avvenne il 26 febbraio 1933 da parte dell'Ecc.mo Arcivescovo, Mons. Mario Giardini, col convisitatore,
Mons. Edoardo Balestra. Il Padre Giovanni trovavasi nel massimo rendimento del suo mandato. Se
dovessimo tradurre in cifre il movimento della vita sacramentale di sua
competenza potremmo dire che in 11 anni di Parrocchia (dal 1926 al 1937) su
772 Battesimi egli ne amministrò 603, su 278 matrimoni ne benedisse 175 e
registrò 429 decessi. Ma quello che più
conta, oltre le cifre, è il cumulo delle virtù, dei sacrifici e degli eroismi
segreti, usciti da una programmazione di atti intensi, pari, nella sua vita
di Parroco e di Superiore Provinciale, ad un caldo meriggio di carità e di
olocausto. 28. Magnifico dono. Il concertino delle 4
campanelle, discordate da un colpo di fulmine, non rispondeva più alle
esigenze del culto; dal peso complessivo di Kg. 361, datate 1823-1832, erano
giunte al Sacro Cuore dall'ex-Parrocchia di S. Marco, ma la sera del 10
settembre 1934 si videro calar giù dal campanile, per dar luogo ad un nuovo
concerto, più armonioso di un maggiore volume di suono, fuso dalla ditta
Pasqualini di Fermo. Ecco come il Padre Giovanni, sicuro di essere ascoltato,
fece breccia sugli animi dei generosi, mediante la voce del Bollettino
Parrocchiale, febbraio 1934: « Da circa due mesi è
oggetto di ammirazione ai frequentatori della nostra Chiesa una grossa
campana, provvisoriamente collocata nella navata destra. La bella campana,
dal peso di Kg. 500 è un magnifico dono all'amata Parrocchia della signora
Carlotta Mancini ved. Mordenti, per ricordare i
figli defunti e suffragarne le anime benedette... Poiché la campana donata
non è che la maggiore delle 4 componenti un armonioso concerto... e poiché il
più ci è venuto così provvidenzialmente, perchè non
completiamo l'opera? Abbiamo esposto il nostro pensiero alle Donne
Cattoliche e queste sempre pronte e coraggiose si sono impegnate di offrire
la terza campana in ordine discendente. Chi offrirà la seconda e la più
piccola? ». L'appello del sacerdote
virtuoso ritrovò pronto e immediato riscontro e vi fu come una gara per
assecondare i desideri di lui che aveva dimostrato tantissima fiducia nella
Provvidenza: « E' vero che i fondi mancano ma confidiamo sconfinatamente
nell'appoggio dei Parrocchiani, Ministri della Divina Provvidenza ! ». Così
si presentarono donatrici delle altre campane; la signora Giulia Giampaoli, la sig.na Giovannina Farinelli, le Donne
Cattoliche e la signora Maria Tiberi Zotta. Il 21 settembre 1934,
presenti le madrine: Mordenti, Giampaoli, Mariotti
e Zotta e un'immensa folla di parrocchiani, avvenne la consacrazione dei
bronzi da parte del Vescovo di Osimo e Cingoli, Mons.
Monalduzio Leopardi. Mentre per l'aria
settembrina correvano gli squilli più ampi e distanziati della preghiera e
ridestavano alla gioia animi e cuori, entrando dai balconi aperti di Corso
Tripoli, il Padre Giovanni ne ascoltava tutta l'intima armonia e mite e
umile, qual novello Francesco d'Assisi, ripeteva: Laudate
et benedicite mi Signore et reingraziate... 29. Pazienza e decoro. Una delle anime più vicine
al Padre Giovanni, che egli seppe indirizzare poi alla vita del chiostro, nel
parlarci di lui, si è soffermata assai sulla tenera devozione sua alla Vergine
Addolorata, sull'amore all'Ordine prescelto e anche sulla cura e pulitezza
che esigeva nella casa di Dio. Uomo nutrito da un'alimentazione spirituale
straordinaria il Padre Giovanni seppe trascinare e invogliare altri a forme
non comuni, non però eccessivamente onerose, di preghiera. Così sorse il
gruppo delle ragazze che recitavano, in giorni determinati della settimana,
l'« Ufficio Parvo » della Madonna. L'« Apostolato della preghiera » lo
coltivava con particolare delicatezza, raccogliendo le iscritte per il
pensiero spirituale mensile nella sede delle Suore Maestre Pie Venerini e invitandole ogni primo venerdì del mese alla
Santa Comunione convinto e speranzoso che quel gruppo costituisse una
potente carica e una operante riserva di spiritualità per la parrocchia. Gli
stessi ragazzini della Prima Comunione li preparava al grande giorno dell'incontro
col Signore con tre giorni di Esercizi e cercava, con tutti gli espedienti,
di tenerseli buoni e meno birichini in quei giorni d'intenso lavoro. Abbiamo appreso quali
furono le poche esortazioni che egli lasciò al suo degno successore e per di
più cugino materno, Padre Bernardino Maria Piccinelli, nel giorno in cui gli
lasciò ufficialmente la Parrocchia del Sacro Cuore, dopo aver assistito alla
presa di possesso: « Le raccomando due
cose sole: molta pazienza con la gente e grande decoro nelle sacre funzioni !
». E pazienza il Padre
Giovanni ne aveva; anzi talvolta nel moderarsi da qualche impennata sapeva
esprimere il profondo dispiacere di dover usare la maniera forte.
Tollerante, affabile, non sconfinava dalla frontiera della riservatezza. Scrive
così di lui una delle tante che lo conobbero: « Anche con noi giovani
che gli vivevamo molto vicine, tenne sempre un contegno e atteggiamento
fraterno ma tanto riservato che ci sembrava un angelo in carne. La sua schiettezza
e lealtà ci dava un senso di sicurezza. Lo ritenevamo un essere superiore
molto elevato spiritualmente e moralmente ». Decoro in chiesa
cercava di ottenerlo con solenne sfoggio in tre particolari circostanze:
Prime Comunioni per la Pentecoste, festa del Titolare in Giugno, il Sacro
Cuore e Solennità dell'Addolorata in Settembre. L'altare era un trionfo di
ceri, di fiori e di addobbi e attorno ad esso la folla dei « Crociatini », dei Fanciulli di A. C. 30. A fianco di chi soffre. Il Padre Giovanni nelle
espressioni sue caritative soffriva, temendo di non esaurire tutto il mandato
di carità. Stava all'erta per cogliere l'occasione d'intervenire là dove nel
segreto si piangeva. A canto di chi penava trovava finalmente requie questa
santa sua passione di convivenza e di adesione nella sofferenza. Ci hanno
scritto di lui: « Amava tutti
indistintamente! Anzi l'amore verso il prossimo fu il suo tormento, perchè temeva di non darsi sufficientemente. La sua
donazione era continua, fine, aristocratica. La profonda umiltà lo faceva
operare silenziosamente e delicatamente. Quante volte durante l'inverno,
chiamato di notte, per assistere qualche moribondo passava il resto della
nottata su una sedia, non essendovi al Sacro Cuore una stanza ! ». Afflitto, provato da
continue sventure familiari, una delle ultime, la morte a 66 anni della
carissima mamma il 18 gennaio 1929, tormentato da acute emicranie, per
superare le quali si era assuefatto all'uso frequente del caffè, talvolta
sfinito dai ripetuti viaggi a Roma, sempre affrontati di notte, per
guadagnare tempo, egli al ritorno non faceva mai pesare sugli altri il
disagio, la spossatezza oltre che fisica anche morale e tanto meno sui
propri confratelli. Anzi, divenuto anche Priore del Convento di S. Pietro col
Capitolo Prov. del 14 luglio 1931, continuava la
sua vita metodica, umile, paziente, senza atteggiamenti caporaleschi, come
l'ultimo della comunità e al Sacro Cuore vi compiva con tanta disinvoltura
gli uffici più dimessi: spazzare la chiesa, suonare le campane, accendere i
lumi. Bruno da Osimo da
rilievo a questa missione confortatrice che così gentilmente spiccava
nell'animo perennemente giovane di Padre Giovanni: « Fu confortatore delle
nostre pene, consanguineo dei nostri dolori. Entrò nell'intimità delle
nostre case come un angelo di Dio, un consolatore delle nostre angosce, come
una voce di paradiso... E come dimenticare la sua ultima benedizione alla
mia sposa morente, dopo solo tre anni di matrimonio, nella clinica che vide
il suo atroce martirio e il suo giovanile declinare? ». La signora Alma Marsili
fu una delle tante che il Padre Giovanni accompagnò all'estremo passo con
quello squisito senso di grazia angelica che gli era proprio e così la signorina
Erinna Camerini, rapita nel fior della vita, attinse la forza a tanto soffrire
dal Padre Giovanni che quotidianamente la comunicava. 31. AI « Nautico ». Ai primi di dicembre
1930 il Vicario Generale dell'Archidiocesi di Ancona, Mons.
Edoardo Balestra, venne dal Padre Giovanni per pregarlo caldamente ad
accettare l'impegno dell'insegnamento della Religione nel « R. Istituto
Nautico » di Ancona; si trattava di 4 ore settimanali. Il Padre accettò,
condizionando il suo assenso alla risposta che avrebbe dato il.Padre Provinciale, Padre Borgognoni, per il necessario
permesso, risposta che fu senz'altro positiva. Il Cronista del
Convento di S. Pietro aggiunge qualcosa di più, di non trascurabile rilievo e
di significativa importanza, da cui si rileva che il Padre Giovanni,
nell'opinione del suddetto Rev.mo Monsignore, veniva a trovarsi in quel
momento la persona più qualificata e più adatta ad assumere quel non
indifferente onere: « 6 dicembre 1930. Dopo
molte insistenze fatte dal Vicario Generale della Diocesi, il quale non
sapeva proprio a chi ricorrere, annuente il Padre Provinciale, oggi il Padre
Giovanni M. Rossi ha cominciato l'insegnamento di Religione nel R. Istituto
Nautico... ». Dunque per la scelta
del Professore di Religione al « Nautico » non vi fu altra alternativa che
il Padre Giovanni, il quale risultò essere l'elemento più preparato e
maggiormente rispondente alla piena fiducia dei Superiori e in Curia e
nell'Ordine. Le ore al « Nautico »
non erano certo leggere e tanto meno potevano prendersi con eccessiva
disinvoltura; tanto più che venivano un po' a scombussolare l'orario
dietetico, consigliato dai medici, per un gracile qual'era
il Padre Giovanni. Il Padre Benedetto Maria Marconi ci porta nel pieno dinamismo
di lui, a 28 anni compiuti, con questi personali ricordi: « Ma che pasti! Che
riposo! A pranzo, per ragione della scuola al « Nautico », giungeva quando
gli altri erano a tavola da tempo. Egli in pochi minuti consumava il pranzo e
leggeva anche il giornale e senza farsi aspettare si alzava cogli altri per
la visita al SS.mo Sacramento ». Sulla competenza del
Padre Giovanni in materia di Catechesi e quindi sul successo brillante da lui
riportato al « Nautico » fanno fede la profonda cultura propedeutica e quel
senso o sapore altamente didattico che si eleva da alcuni suoi quaderni di
argomento religioso, in cui le lezioni eleganti seguono la logica dei fatti e
delle ricerche scientifiche: lezioni che costituirono l'armamentario di
quegli anni d'insegnamento. 32. II suo giorno. L'onomastico suo ricorreva
il 27 dicembre, festa di S. Giovanni Evangelista. Per quell'occasione erano
in moto tutte le Associazioni Parrocchiali, per dimostrargli, in modo tangibile
e sincero, piena stima e devota gratitudine. Modestissimo, schivo da parate
accademiche e da ampollosità encomiastiche, si adattava ad accettare quelle
espressioni di affetto e lasciava fare agli organizzatori, pensando che
quella fusione di cuori intorno a lui, più che una dimostrazione di
benevolenza verso la sua povera persona, rifletteva la matura e sensibile
coesione della collettività parrocchiale. Al mattino si davano
convegno per la sua Santa Messa, celebrata all'altare del Sacro Cuore, le
suddette Associazioni, mentre si alternavano a brani di musica sinfonica ad
archi i canti della « Schola cantorum » delle
signorine. Nel pomeriggio aveva luogo nel teatrino delle Suore Maestre Pie Venerini il trattenimento recitativo-musicale, articolato
da canti, pezzi d'opera, indirizzi, « sketch » drammatici. La gente si stipava
in platea, traboccante, e fra i primi gli amici devoti: Prof. Amiro Mariotti, Ing. Francesco Podesti,
Dott. Agostino Airoldi, lo xilografo Bruno Marsili,
Mons. Ezio Giorgetti.
Gran parte della responsabilità artistica era affidata alla competenza del
direttore di quel complesso vocale-strumentale, il Padre Giuseppe Maria Bugamelli, cui il pubblico riservava calorosi applausi. Il Padre Giovanni
dunque nel suo giorno trovavasi subissato da
complimenti e auguri, con doni, fiori e letterine. L'affetto dei suoi figli
esplodeva pieno, ed egli vi corrispondeva con dignità, ringraziando commosso
di quella sincera effusione di viva simpatia e di attaccamento filiale, con
cui si veniva a riconoscere pubblicamente che il suo lavoro otteneva
riflessi profondi di bene. E veramente la sua figura mistica si
elevava luminosa in ardore
e in esempio, come una lampada presso l'altare, cui tutti
si sentivano attratti. Sulla tempesta delle miserie umane la sua mano immacolata,
bianchissima, nel benedire vi lasciava l'aromatica carezza del santo! E come
tale lo sentì operante, anche dopo la irreparabile dipartita, Bruno da Osimo:
« So bene che egli ci attende oltre le azzurre altezze!... Ed io l'ho
nominato mio avvocato presso l'Avvocata dei peccatori. Come mi accosto al suo
altare lo rivedo, curvo, pietoso, su di noi; sento la sua preghiera: —
Coraggio, Bruno! E' breve ciò che passa! ». 33. Alto senso di equilibrio nell'amicizia. Quanti che gli furono
devotissimi e gli riversarono nel segreto del confessionale il tormento della
coscienza agitata per ottenerne il sereno o gli scrivevano saltuariamente,
per alimentare il filo d'oro dell'amicizia, spirituale e direttiva insieme,
esperirono in lui un senso alto di equilibrio. La familiarità la sapeva
contenere su un realismo di cautela, sempre avveduto, intelligente e
ricreativo. Così si esprimeva sul piano pratico con una persona cara: « Consigli non avrei da
darti. Vorrei solo, se fosse possibile, aggiungere fervore al tuo fervore,
gioia alla tua gioia, nel servire più da vicino la Madonna... Ti ricordi? I
greci antichi, andando alla guerra, dicevano, impugnando lo scudo:
-
O con questo (tornerò) o su questo (morirò). Noi diciamo:
-
Con questo o su questo, vivere e morire! ». Anche nel riferire casi
e preoccupazioni della sua vita personale che a lui facevano capo come
Superiore Provinciale le espressioni hanno sempre un tocco di ammirevole
ansia paterna: « Mi domandi come vanno
le vocazioni. Potrei rispondere che vanno bene. Ma quanto tempo potremo tenere
nei nostri collegi i più piccoli, date le difficoltà che si vengono ad avere
di fronte alle famiglie? A Ronzano ne abbiamo una sessantina. Quest'anno ne
sono entrati circa una ventina, di cui metà marchigiani ». Là dove il pettegolezzo
potrebbe affiorare egli, con un colpo d'ala del suo elevato umorismo, si
libra senza scomporsi in geremiadi: « Dunque ti hanno detto
che invecchio velocemente. Sicuro ! Gli anni passano, i capelli per la
maggior parte se ne vanno e gli altri imbiancano. Però di fisico e di animo
mi sento sempre come una volta. Devo tuttavia aggiungere che in Ancona alcuni
o alcune che mi conoscevano o pretendevano di conoscermi più a fondo mi
hanno detto ripetutamente che sono tanto cambiato. Non so poi in che cosa!
». Nel dare qualche
ragguaglio sulla sua attività apostolica per le parrocchie, ritorce qualsiasi
spunto di superbia e minimizza la portata di esse, mentre sulla salute
fisica sovrabbonda di ottimismo: « ...Sono andato molto
in giro a chiacchierare, come dico io, perchè proprio
non oso dire predicare ; ma ora ho dovuto trattenermi un po' dall'accettare
lunghi impegni... Di salute sempre benissimo, anche troppo ! ». 34. L'incontro con Bruno da Osimo. Bruno Marsili, in
xilografia (l'arte in cui fu sommo e maestro insigne) Bruno da Osimo, venne
quant'altri mai a trovarsi legato col Padre Giovanni da un profondo ed indissolubile
vincolo di fratellanza, ricevendone conforto e rifugio nella travagliata
esistenza. Alla luce della fede delle tre stelle che egli assumerà poi come motto
e simbolo dell'arte sua, nel ricordo cioè della madre, della sorella e della
consorte Alma, strappatele da duro destino negli anni giovanili, egli
ricostruirà la novella casa all'ombra della chiesa del Padre Giovanni. « Il destino — scriverà
queste memorie, vibranti di accesa poesia e di vivo rimpianto il pomeriggio
del primo giorno di primavera 1956 — ci privava di una grande e comoda casa
ad Osimo e il buon Dio ce ne apriva un'altra in Ancona, tutta mia, all'ombra
di una chiesa, che stava allora rifinendosi, consacrata al Sacro Cuore. « Non avevo mai perduto
il conforto della religione ma s'era esso assopito nel travaglio lungo della
penosa trincea. Fu per questo bisogno di anima che io cercai un sacerdote.
Iddio, e forse anche l'amore vivo di mia madre me lo mostrarono in quel
giovane sacerdote... con la mano destra fasciata. « E allora io gli andai
incontro e chiesi il conforto della sua parola e del suo spirito e della sua
benedicente mano piagata. « Come una musica
lontana e dolce mi si ripercuote ancora nell'animo l'eco delle parole che ci
offerse, quando il 26 gennaio 1933 mi sposò alla mia Alma nella stessa chiesa
di S. Pietro, la cui facciata incisi ed offrii ai numerosi amici a ricordo
del nostro matrimonio... « E ci confidavamo le
nostre angosce; io deponendole al primo gradino dell'altare e pregando lui di
presentarle alla nostra Regina, giacché la mia casa sul mare intendevo consacrarla
alla Stella del mare. E la mia sposa dettò le parole belle nel suo bel latino
ch'ella tanto amava: — Stella maris nostris aedibus clarissima luceat —. « E assieme alla sua
chiesa e alla mia casa, io alzai, con la potenza dell'anima e con la fatica
dell'arte, altri due piccoli templi alla Regina del cielo: i mei piccoli e
luminosi volumi delle Litanie Lauretane e dello Stabat
Mater. Prima d'essere incise nel legno tutte le sequenze, le sottoposi al
vaglio del suo intelligente consiglio: — A te, Padre Giovanni Rossi, Servo di
Maria, che primo con me ti curvasti su queste figurazioni, fraternamente,
devotamente, offro ». 35. « L'ardore di S. Bernardo era in lui ». Ci sia consentito di
ricalcare un tema, cui abbiamo accennato ma non esaurito. Anima sacerdotale,
angelicamente orante, il Padre Giovanni nei pochi istanti di stasi della vita
dinamica sapeva raccogliersi, estraniarsi, trasumanare dalla sua personalità
e avvicinarsi a Dio. Oh la sua S. Messa come usciva realmente dal frastuono
delle contingenze umane! Come egli la sentiva! E la spiritualità come la
sapeva comunicare agli altri ! Ecco una delle tante
testimonianze: « Aveva un suo modo di porgere la S. Comunione che al solo
vederlo si era costretti ad un maggiore rispetto e adorazione verso il SS.mo
Sacramento che egli amministrava in consapevole e profonda preghiera. Quando v'era
esposto il SS.mo, bastava guardarlo e pregare per essere spinti ad un maggior
fervore, giacché dal suo volto e dalla sua persona traspariva un'intensità di
vita interiore che faceva del bene ». Che dire dei fervorini
in occasione di Prime Comunioni, di Ore Sante, e dei discorsi sulla Madonna?
Come si può riscontrare da un immenso campionario, un'autentica selva di
appunti, minuziosamente trascritti, talvolta su microscopici volantini, da
costituire una pila elevata di 24 cartelle, secondo il settore dell'argomento,
la costante tematica della sua predicazione (indice d'un sincronismo ispirativo d'un grande cuore, tutto acceso per la causa
di Dio) ricorre su questi cardini: il SS.mo Sacramento, il Sacro Cuore e la
Madonna. Sacerdote e parroco della chiesa, dedicata al Cuore Divino, volle
rendersene apostolo ardente e Servo della Vergine Maria si propose di
divenire l'alfiere innamorato. Bruno da Osimo accentua
così la sua ammirazione e l'intima commozione di fronte all'efficacia del
suo esempio e della sua parola ispirata: « Semplice e mite egli
era, ma quando saliva i gradini dell'altare
con lo sguardo
rivolto in alto,
era trasfigurato dalla
misteriosa luce della fede... Ricordo le sue prediche nella scomparsa chiesa
di S. Pietro su la Madonna Addolorata. L'ardore di S. Bernardo era in lui e
nella sua parola di fuoco. Penso che il suo angelo custode gliele avrà
scritte quelle sue frasi, in caratteri d'oro sul libro bello e sfolgorante
della sua vita terrestre e celeste... ». Da quello che fu il
vastissimo repertorio, frutto della sua dialettica e profonda catechesi,
stralciamo qualche esempio dandogli un volto e una data. 36. Missioni al popolo. Ci limitiamo a citare
solo alcuni di questi incontri col popolo, avvenuti o sotto forma di vere Missioni
o in occasione di Novene ed Ottavari, decorrenti dal 1937 al 1943: gli anni
più intensivi, più fecondi per questo apostolato della parola, cui s'era
votato con slancio, finché le forze, affievolitesi, non gl'imposero dapprima
una remora e poi una assoluta cessazione da ogni impegno che presagì la fine
imminente. Quanti furono questi corsi di predicazione al popolo per le
chiese delle Marche e dell'Emilia? Chi lo potrebbe contare? Dai suoi appunti
siamo riusciti a documentarne alcuni pochi, forse i più rappresentativi,
citando luogo e data: Sirolo di Ancona, 14-21 marzo 1937; Roncastaldo di
Loiano (Bo), 25 gennaio 2 febbraio 1939; Aliforni di S. Severino Marche, 26
marzo 2 aprile 1939; Budrio di Bologna, 14-21 maggio 1939; S. Paolo di Ravone in Bologna, 1-6 aprile 1940; S. Maria della Pietà
in Bologna, 7-14 luglio 1940; Vado di Bologna, 18-24 dicembre 1940; S.
Agostino di Ferrara, 25 gennaio 2 febbraio 1941 ; Pizzocalvo
di S. Lazzaro di Savena (Bo), 22-25 febbraio 1941 ; S. Maria Lacrimosa degli Alemanni
in Bologna, 12-19 ottobre 1941 ; Chiesa dei Servi in Bologna, 22-29 marzo
1942; Santuario delle Grazie in Pesaro, 9-18 ottobre 1942; Monte S. Giovanni
di Monte S. Pietro (Bo), 23-30 gennaio 1943. La Missione al popolo
che lasciò poi una certa eco nella sua corrispondenza personale fu quella che
egli svolse, col valido aiuto del confratello, Padre Bonfiglio Maria Alfonsi, nella chiesa Parrocchiale di S. Pietro in Ancona
dal 18 al 28 aprile 1940. Il parroco, Padre Dino Maria Majorelli,
l'aveva preparata con volantini, fissando la nobile finalità: « Ora la
Missione con la grazia divina vuole guarire ciò che è ferito, rinfocolare ciò
che è raffreddato, orientare al bene ciò che è fuorviato, costruire ciò che è
devastato». Si ebbero giornate intensissime di istruzioni, conferenze, per
ogni ceto di persone che culminarono con una campagna a fondo, antiblasfema:
« E' ora d'insorgere, d'impedire con tutti i mezzi l'insulto blasfemo che
reca onta al nome di Dio, tre volte santo ! ». Il Padre Giovanni nello
scrivere ad una persona lontana ritorna col pensiero sui frutti di quella
Missione anconetana: « Come sono andate le Missioni in Ancona? Non potrei dir
male; ma quanti uomini sono rimasti indifferenti e assenti! Dicevo in tono
scherzoso che ci vorrebbe un terremoto come quello della Pentecoste per
smuoverli... ». 37. Riparazione e cultura mariana. Di questa materia si
fece promotore entusiasta e competente ; e il suo nome in quegli anni, in
cui fu a Bologna, correva fra i più qualificati a trattare tale argomento.
E, se non ci fossero stati di mezzo le afflizioni della salute malandata e i
soprappensieri per la carica di Superiore Provinciale, avrebbe centuplicato
le sue possibilità in questo settore.
Elencare i suoi
discorsi, celebrativi, istruttivi sulla Madonna sarebbe ricomporre una filza
interminabile per di più senza indicazione di data e di luogo. Innegabile merito del
Padre Giovanni fu la costante sua presenza nella « Pia Opera Riparatrice
Mariana » che ha sede in Rovigo presso il Noviziato delle Serve di Maria
Riparatrici. Egli seppe cogliere l'alto significato di quel movimento
Mariano, scaturito dal cuore stesso della Madonna che lo rivelò nel 1890
alla venerabile Suor M. Dolores e nel 1917 lo inculcò ai tre bambini di Fatima.
L'iniziativa che risponde al programma di « offrire alla Vergine SS.ma
preghiere ed opere buone in risarcimento delle offese arrecate al Cuore Immacolato
di Lei da tanti eretici e da tanti cattivi cristiani » non solo ritrovò nel
Padre Giovanni pronta corrispondenza ma efficiente cooperazione. Infatti per
tutto il 1940 egli si assunse l'impegno di svolgere a Rovigo, ogni primo
sabato del mese, il discorso di « riparazione mariana » e nell'ultima decade
di novembre di quell'anno assieme al compianto Padre Giuseppe Maria
Albarelli, vi predicò la « Settimana della Riparazione Mariana ». La tematica
di quei giorni si allineò su questi punti: « La riparazione a
Maria SS.ma è una logica conseguenza, è una esigenza del nostro amore per
Lei, è un Suo desiderio, è una tremenda necessità del momento per il molto
male che si compie! ». Degne di rilievo poi
risultarono le « Lezioni di Cultura Mariana » che il Padre Giovanni tenne
dal 17 gennaio al 25 marzo 1942 nella Sala della Casa di Lavoro per Donne
Cieche a Bologna in Via S. Stefano 64, la cui parte organizzativa per il successo
conseguito fu merito del Padre Luigi Maria Artusi. Le sue conferenze di alto
sapore teologico, storico, apologetico, si articolarono sul culto, sul dogma
e su un aspetto specifico dell'ecumenismo Mariano: « La Madonna e le Chiese
separate ». 38. Ritiri e Convegni con l'A. C. Intelligenza brillante,
spigliata, sempre più fertile nell'evolversi delle esperienze, preparata e
aperta ad illuminare e discutere questioni e problemi sociali ad alto
livello, il Padre Giovanni si trovò a suo agio nei frequenti contatti, non
solo con gli iscritti dell'Azione Cattolica, in occasione di Ritiri e
Convegni ma anche con persone di elevata cultura, desiderose d'istruirsi, la
cui sete temperò con conferenze e conversazioni. Quanti questi incontri di
cultura religiosa? Innumerevoli. Un « curriculum » completo è impossibile ;
ne diamo una visione parziale, scheletrica, attenendoci al periodo bolognese,
1938-1942: Ciclo di conferenze al « Circolo dì Cultura » di Bologna, Strada
Maggiore, 45 sul tema: « La sposa e la madre di fronte al '900 », mag. 1938, in concomitanza con Mons.
Giuseppe Chiot e Prof. Anna De Mari. Lezioni di Vangelo alle
Giovani di A. C. nell'oratorio dei Guarini, genn. 1939. « Settimana di Studio » alle Giovani di A. C.
della Parrocchia di S. Caterina di Strada Maggiore, mag.
1939, sul tema: « Gioia di vivere ». Lezioni morali e mariane alle Alunne
della « Scuola di Metodo » di Bologna, mag. 1939,
sui temi: « Intelligenza, amore, azione nella devozione a Maria ». Convegni
di cultura religiosa, a cura del Comitato « Maria Cristina di Savoia », con
19 conferenze, anni 1940-41-42, sui temi: « La vita come dono e come missione
», « Fede e Morale », « I doni di Dio ». Esercizi Spir. a Labante di Castel d'Aiano (Bo), sett. 1941 per le Delegate di A.C.. Conversazioni alle «
Vedove Cattoliche », presso l'Istituto « S. Giovanna d'Arco », giug. 1939 e presso le « Ancelle del Sacro Cuore », in
Bologna, apr. 1942, sul tema: « Vedovanza cristiana
». « Settimana della madre », presso la chiesa parrocchiale di S. Vitale in
Bologna, gen. 1942. Lezioni di « Morale religiosa » alle Dame della C.R.I. e
alle « Assistenti sanitarie », in Bologna, settimana santa 1941. Il pensiero del Padre
Giovanni da questa messe abbondante d'insegnamenti si traduce in un'unica
massima, che egli praticò, inculcò e scrisse ai cari alunni di Montefano, un
anno esatto avanti la sua morte: « Continuate a servire il Signore con
entusiasmo ; sentite la sua volontà negli ordini dei vostri Superiori; siate
sempre molto allegri, sotto lo sguardo materno dalle SS.ma Vergine ». 39. Tra le Comunità Religiose. Il dire che non poche
Comunità di Congregazioni Femminili talvolta se lo contesero per gli annuali
Esercizi Spirituali non sembri esagerato in quanto viene ad esprimere
l'aspirazione e la stima che avevano per il Padre Giovanni le Suore
soprattutto della grande famiglia delle Mantellate Serve di Maria, come
quelle della Congregazione di Pistoia, di Firenze e di Rovigo. Talvolta per
sovraccarico d'impegni era dispiacentissimo di non
accogliere l'invito e allora scriveva: « Giorni fa mi scrisse la Madre
Chinotto, invitandomi a Viareggio per gli Esercizi. Sarei andato molto
volentieri, eppure sono stato costretto rispondere di no ». Comunque le maggiori
attenzioni le ricevettero sempre le benemerite Suore Mantellate di Pistoia e
di Rovigo, cui egli si premurò d'inviare e preparare vocazioni, seguendole
poi con squisita cura paterna. Il dispiacere di non poter far di più appare
evidente da queste frasi: « Fino ad ora non mi si è presentata alcuna
vocazione per nessun Istituto; ciò dipende anche dalla mia condizione e dalla
forma del mio lavoro ». Qui ci sovviene il commosso ricordo delle sorelle Paneni, Suor Adriana Maria Teresa, e la studentessa, Jole
Graziella, di Città di Castello, le quali, educate alla vocazione religiosa
dal Padre Giovanni, nel desiderio di venirlo a trovare ai Servi di Bologna,
incapparono nel tremendo bombardamento del 25 settembre 1943 e vi lasciarono
la vita. Le Comunità ed i
Collegi del suo Ordine si onorarono di averlo come predicatore degli Esercizi
Spirituali all'inizio dell'anno scolastico; lo ebbero il Collegio di
Ronzano, sett. 1936; il Collegio Int. « S. Alessio F.» di Roma, ott.
1937: l'ultimo ritiro cui partecipò il Servo di Dio, Fra Venanzio Maria
Quadri; il Collegio di Nepi, ott. 1938; lo
Studentato della SS.ma Annunziata di Firenze, ott.
1941; lo Studentato e Comunità di Monte Berico, ott. 1942. Di fronte ai suoi figli
e ai suoi confratelli insisteva e scongiurava su questi punti fondamentali:
carità, sincerità, serenità, bando alla mormorazione. Scriveva infatti: « Tienti ferma al programma di essere sempre serena e
sincera con tutti, e di voler diffondere attorno a te benevolenza e sincerità.
Tu non devi conoscere lamentele e molto meno mormorazioni! Non so bene quel
che il Signore abbia operato in te per mezzo mio: ma crederei tutto perduto
se non ti avessi convinta di essere così! ». 40. Sulle orme del Padre Albarelli. Se stessimo per indulgere
ad un sentimento patetico su quanto ci sovviene del compianto Padre
Albarelli, in cui il genio proteiforme v'impresse ombre e luci a colpi
bizzarri, pari alle sorprese d'un caleidoscopio, potremmo ricrederci della
nostra simpatia preconcetta, sempre però spiegabile umanamente, in quanto
creatasi negli anni nostri di formazione all'influsso del suo entusiasmo,
perennemente giovanile, senza rughe arcigne. Trattandosi invece del pensiero
sereno, sempre valido, del primo maestro del collegio, il Padre Benedetto
Maria Marconi, che ben meritò la fiducia e corrispose alla stima
dell'Albarelli, quando fu da lui preposto all'educazione dei giovanetti prima
a Bologna e poi a Ronzano e che negli anni maturi si trovò a fianco del Padre
Giovanni Maria Rossi, condividendo con lui ansie e preoccupazioni, dal 1937
al 1940, seguendolo in quella fase di ascesa come suo socio Provinciale, la
testimonianza sua ci è parsa ottimamente calzare all'argomento. Il Padre
Marconi così si esprime: « Il Padre Rossi meritò
ben presto la qualifica di Provinciale « dinamico », riprendendo e
perfezionando in molte cose il metodo del suo predecessore, Padre Giuseppe
Maria Albarelli, il quale pure fu molto dinamico. I giovani formarono subito
l'oggetto delle sue paterne e amorose cure. Li visitava spesso, parlava loro,
studiava nuovi mezzi per ovviare alle spese ingenti per il loro mantenimento.
Da parte loro poi i giovani gli volevano un gran bene e ne parlavano con
entusiasmo ». L'amore, la premura, la
sollecitudine per i giovani si trasformò in santa passione. Gli alunni di
Ronzano, quelli più grandicelli di Montefano, i chierici Professi, sparsi per
i vari studentati d'Italia, lo tenevano in assillo, in continuo moto. Saliva
a piedi al noto colle delle sue speranze; nelle Marche vi giungeva spesso col
treno, a quelli lontani scriveva. Quanto grande fu il suo dolore, quando
ancora agli inizi di quel primo triennio, il 2 novembre 1937, informato dello
stato gravissimo di salute di Fra Venanzio Maria Quadri, partì nell'immediato
pomeriggio per Roma ma vi giunse che il Servo di Dio era già spirato! Ricordo
che alle 8 di sera uno squillo di telefono dai Servi di Bologna ci comunicava
a Ronzano l'angosciosa notizia. Era il primo alunno, Religioso Professo, che
ci aveva lasciati, ormai maturo per il Cielo. 41. Si affidò alla Provvidenza. La sua ansia ed
aspirazione era sì che gli alunni crescessero in numero sempre più, fino al
punto di forzare a Ronzano la capienza di quelle venerande mura secolari, inquiete
anch'esse, per la loro austerità, ad accogliere tanto frastuono di fanciulli,
però il pensiero primo batteva il chiodo: che i ragazzi si elevassero
qualitativamente, sani di salute, schietti di cuore e di mente, allegri,
impegnati nella conoscenza del loro ideale, operosi, diligenti nello studio,
alieni da complessi, tersi e sinceri, come splendevano i suoi occhi e
risuonavano le sue parole. E per questo insisteva su un'opera di somma
accortezza, di attività selettiva, da parte degli educatori responsabili,
nella persona dei Padri: Luigi Maria Barbieri e Giuseppe Maria Gherardi, i
quali con invitta pazienza condussero al sacerdozio una schiera promettente
di giovani che oggi costituiscono il nerbo delle due Provincie Religiose: di Romagna e del Brasile. La preoccupazione
economica seguiva immediatamente dopo, procurandogli qualche momento nero: «
Non mi manca neppure qualche momento nero, nero — scrive apertamente — ;
nonostante il mio carattere non troppo impressionabile ». Il mantenimento di 82
giovani, quanti erano essi alle sue dipendenze nel 1939, è un fatto
quotidiano da risolvere; come ovviare a questo grosso problema? Si affidò
alla Provvidenza, quasi forzandone la mano: « A volte — se ne accusa come una
colpa — temo quasi di tentare la Divina Provvidenza ». E poi intensificò la
propaganda fra il popolo con l'«Opera Pia delle Vocazioni», istituita dal suo
predecessore, Padre Pietro Maria Gabrielli, creando ex-novo una circostanza
di interesse. Sorse così la « Giornata Pro Vocazioni dei Servi di Maria » che
il 13 febbraio 1938 ebbe un volto esperimentale, riservata alla sola Chiesa
dei Servi, con una certa perplessità di successo: « Se la giornata darà un
gettito sufficiente — scrive il Cronista del Convento — il Padre Provinciale
l'istituirà anche negli altri conventi ». L'impegno fu forte; il pubblico
rispose con slancio, grazie all'intervento diretto del Padre Rossi che parlò
ad ogni S. Messa. Nella Dieta Prov. del 22 settembre 1938 la giornata fu riconosciuta
obbligatoria anche alle altre comunità della Provincia. L'anno seguente,
1939, si ottenne un successo superlativo e i bolognesi intervennero al
grande Concerto Vocale-strumentale al Liceo Musicale « G. M. Martini », per
applaudire i bravi alunni di Ronzano che svolsero egregiamente canti corali.
L'appello del Padre Rossi scuoteva effettivamente gli animi: « Ronzano
rigurgita di buone speranze!...
Aiutateci!». 42. Mai potè approdare alla terra
del cuore. La carità del Padre
Rossi avrebbe forse raggiunto finalmente un campo di saziabilità, se la
salute gli avesse conferito al momento opportuno, all'atto di salpare per il
Brasile. Invece mai potè approdare alla terra del
cuore; neanche, potendovi andare più avanti, per ragioni di ufficio, una
volta che quelle fondazioni erano state nuovamente aggregate alla sua
Provincia Religiosa nel 1937, gli fu possibile recarvisi; glielo inibì la
guerra. E pensare che egli
aveva già pronta da anni la somma occorrente per il viaggio, realizzata con
gli onorari della attiva predicazione
! Per cui come un
aquilotto ferito, con le ali spezzate, si ritirò nella nostalgia e nel
rimpianto di quelle terre lontane. Tuttavia si fece instancabile portavoce
del problema missionario, animando e confortando altri a partire. Benedisse
e approvò il gesto dell'eroico Padre Agostino Maria Bellezze che, a 62 anni,
aveva lasciato l'Italia per stimolare i giovani. Raggiunse a Napoli,
abbracciando per l'ultima volta, il 29 aprile 1939, il confratello Padre
Fernando Maria Marchioni. Additò all'ammirazione di tutti, preannunciandolo
come un avvio di ulteriori forze giovanili, l'imbarco dei Padri: Giacomo Maria Coccolini e Agostino Maria
Poli. L'avvenire delle
Missioni Brasiliane egli lo intravvedeva nell'alba radiosa degli alunni di
Ronzano e in questa luce voleva che questi crescessero. Scriveva nel 1940: «
Mentre il nostro alunnato di Ronzano rigurgita di belle speranze, anche nel
lontano Brasile si è potuto gettare il germe del primo alunnato che già risuona
della voce innocente dei primi fratini ». Lo spirito missionario,
attraverso i « Circoli » lo caldeggiava, lo imponeva come una forza
rinnovatrice e nella Dieta Prov. del 25 sett. 1939 giunse al massimo di decisione: « I Padri
novelli siano disposti a partire per le Missioni Brasiliane, anche se non ne
abbiano fatto formale richiesta ». Purtroppo la guerra del
1942 spezzò ogni legame tra i due continenti; s'infransero le rosee speranze;
all'eco dei cannoni non rimase che la debole voce della preghiera. Scrive
egli in occasione della Dieta Prov. del 16 giugno
1942: « Essendo state interrotte le relazioni col Brasile a causa della
sempre maggiore estensione che ha preso la guerra da circa 6 mesi, siamo
privi di qualsiasi notizia dalle nostre Fondazioni Brasiliane...
Raccomandiamo vivamente alle preghiere i Confratelli che sono in Brasile e
le opere ad essi affidate, in attesa di portare un valido aiuto, non appena
cessato il flagello della guerra ». 43. Nel cerchio delle simpatie : il T. O. S. Il Terz'Ordine Servitano, la grande famiglia dei laici educata allo
spirito dei Servi di Maria, nell'opinione programmatica del Padre Rossi
doveva articolarsi come il più adeguato e valido strumento di propaganda
nell'allargamento del cerchio delle simpatie, alla ricerca d'un elevato
numero di amici e benefattori, sensibili ai problemi di quelle due Opere, che
potevano dirsi le pupille degli occhi suoi: le Pie Opere delle Vocazioni e
delle Missioni. Nel vasto piano della cooperazione coll'inserirvi i Terziari,
gli amici e i simpatizzanti auspicava un lavoro capillare, metodico, cui
cercava di corrispondere con la più leale e sincera informazione di quelle
che erano le necessità urgenti della sua Provincia; scriveva loro sul
Bollettino mensile, // Servo di Maria: « Dopo un anno dalla
pubblicazione di un certo bilancio, i Benefattori hanno diritto di conoscere
l'andamento delle nostre Opere che essi amano e appoggiano con l'interessamento,
con la preghiera, con aiuti materiali. Mi limito a constatazioni schematiche,
premettendo che, se i progressi non sono stati fatti secondo le speranze di
un anno fa, non si è però indietreggiato ». Ora se il Padre Rossi
da una parte cercava di creare mezzi di coesione, come i noti Convegni a
Loreto nel 1938 e a Montesenario il 19 maggio 1940,
atti a potenziare e entusiasmare i sodalizi Marchigiano-Romagnoli,
dall'altra col prestigio della sua esperienza
e del suo giovanile ardore sapeva comunicare, in quegli incontri, il
calore affettivo verso l'Istituto, di cui era degnissimo figlio. Scriveva: «
Il nostro amatissimo Ordine dovrebbe essere il primo fra tutti per la sua
bellezza; tocca a noi renderlo tale! ». Rimarrà memorabile negli annali del
T. O. S. della sua Provincia il Convegno a Loreto del 29 maggio 1938,
effettuatosi, prima in Santa Casa e poi nel teatro Comunale, sotto la presidenza
onoraria del Terziario, Mons. Filippo Mantini, Vescovo
di Cagli e Pergola, cui parteciparono fra i moltissimi anche 100 iscritti del
Sodalizio di Matelica, condotti dal Vicario Generale dell'omonima diocesi, Mons. Adriano Tarulli e oltre 150 pellegrini della
Confraternita dell'Addolorata di Grottamare. Al
Padre Rossi sia concesso l'alto merito di aver inserito nella massa del T. O.
S. l'elemento qualitativo, determinato da sacerdoti e seminaristi del Clero
Secolare. Il 6 agosto 1938 vi fu infatti a Senigallia il Primo Piccolo
Convegno di Seminaristi Terziari, tutti della suddetta Diocesi, col loro
Priore, Don Germano Greganti e col loro Rettore, Mons. Macario Tinti. Il Padre Rossi sviluppò il pensiero
mariano di S. Ildefonso: Fac ut de te digna et vera sapiam, digna et vera loquar, te dìgne et vere diligam. 44. « Girovago impenitente ! ». Il commesso viaggiatore
della carità potremmo chiamarlo per quel suo andirivieni instancabile su per
i treni, per le corriere, con qualsiasi mezzo di locomozione, pur di fronteggiare
gli innumerevoli impegni di ministero che egli aveva accettato, forse in
virtù d'un voto segreto di non dir mai di no (chi lo può disdire?) e per
accorrere, in forza del suo mandato di Superiore Provinciale, là dove i confratelli
lo attendevano, col miraggio di chi stia aspettando un raggio benefico di
sole. E realmente il Padre Rossi, col suo sensibilissimo tatto affettivo,
portava una schiarita ampia in qualsiasi situazione temporalesca; con lui
viaggiava la materna carezza della Divina Provvidenza. Ce lo conferma Bruno
da Osimo: « Lo vedevamo partire e ritornare sempre con la sua borsa di pelle
scura, dentro la quale viaggiavano anche i decreti e i misteri della Divina
Provvidenza! ». Nei suoi viaggi si affidava alle preghiere dei buoni e a loro
nel confidare qualche disagio morale esprimeva una straordinaria fortezza: « Ama molto la Madonna
e pregala tanto per questo girovago impenitente ! Fisicamente sto bene;
moralmente come Dio vuole. Croci non mi mancano, ma non potrei dire che mi
abbattono. Certo la Madonna mi aiuterà! E le preghiere dei buoni e le tue non
varrebbero proprio nulla? » Era sincero nel
riconoscere che quel nomadismo oltre che la salute avrebbe potuto affievolire
lo spirito: « Faccio ancora una vita
così randagia ! Pensa che è una settimana che cambio letto ogni giorno: la
notte di sabato scorso in Apiro, di domenica a Roma, di lunedì ad Ancona, di
martedì in treno, di mercoledì a Bologna, di giovedì in treno, di venerdì in
Ancona, di sabato a Forlì! e poi... da capo! Se è vero che: qui saepe peregrinantur, raro sancti-ftcantur, povero me! Quando mi domandano dove
sto ora, rispondo: ufficialmente a Bologna; di fatto un po' qua un po' là;
spesso in Ancona, spessissimo in treno! ». A titolo di curiosità
stando alle evidenti lacunose segnalazioni delle Cronache dal 1938 al 1943
giunse 37 volte in Ancona. L'ultimo viaggio lo chiuse a Montefano tra il ballonzolare
d'un camion, nell'algore pungente della nebbia, assai malaticcio, la sera del
10 novembre 1943. 45. « L'unico riconoscimento che ambisco... ». La sigla di « apostolo
della carità » gli si addice pienamente e con diritto, perché questa
virtù se la impose come programma d'azione e la praticò in ogni istante della
sua vita, stimolato nell'ascesa caritativa dall'incentivo di dare sempre il
buon esempio: « Per me che dovrei essere — così egli senza avvedersene mette
a fuoco la propria fisionomia — la forma gregis,
cioè l'esempio dei confratelli e per loro, affinché siano totalmente
Servi di Maria, prega tanto! Soprattutto perché si viva della vita
soprannaturale e di perfetta carità. Sì, specialmente di carità. Quale forza
trasformante per le Comunità e per i singoli religiosi in questa virtù! Ma
tu almeno dimostra che hai accolta la mia predicazione e sappi dimostrare e
diffondere la carità. L'unico riconoscimento che ambisco su questa terra: se
qualcuno si ricorderà di me sia costretto a dire che ho cercato sempre di
predicare la carità e di apparire un Servo di Maria ! ». La sua vita fu una sequenza,
intessuta nell'ombra, di atti di dedizione, di pazienza, di tolleranza, senza
lagnanze, senza prevenzione od ostracismo di persone. L'instancabilità nei
frequentissimi viaggi, per lo più effettuati di notte, la prontezza al
confessionale e lo starvi immobile per ore e ore, la premura per i
confratelli che lo interpellavano, la pronta ospitalità nell'aprire le porte
a Ronzano agli sfollati e alle loro masserizie, l'intervento diretto per casi
pietosi, la grazia e il rispetto nel parlare senza mai trascendere, quel
saper scrivere costantemente elevato a chi si affidava alla sua direzione, la
sollecitudine di accorrere là dove si soffriva, quell'accettare impegni senza
mai declinare l'invito, le attenzioni quotidiane per i suoi alunni, cui
s'impegnò perfino di far scuola, giungendo a piedi da Bologna a Ronzano,
tutto trafelato, il compatimento talvolta per le persone petulanti e moleste,
ecco la casistica del cammino in cui deliberatamente si mise per farsi santo
e dal quale mai si distolse, ecco la sua ascesa in un meriggio infuocato di
carità e di olocausto. « Voglio credere — così stimolava gli altri allo
stesso itinerario — che non ti sia mai fermata nel cammino per la pratica più
perfetta della santa carità. Oh si ! questa specialmente fa prodigi di bene
in mezzo alle Comunità Religiose e in mezzo a questo povero mondo! Questa ti
darà la preziosa serenità, ti conferirà lo spirito di sacrificio, facendoti
gustare le gioie vere di quaggiù ». 46, Non si assuefece ad un adattamento meschino ! La sua fu una lotta
morale contro la mediocrità: dare e rendere al massimo, finché le forze
potevano rispondere! Le grandi cose potevano
dirsi le aspirazioni supreme dello spirito, cioè il possesso, la
malleabilità, la duttilità, l'entratura nelle anime con la direzione
spirituale, fino a trasformarle esse pure in fiamme di carità. Il quieto
vivere, l'isolamento, la tiepidezza, l'inerzia, l'ipocondria, cioè la noia e
la tristezza di chi nel convento non ha saputo ingranare, egli le detestava
con un termine suo: « Adattamento meschino », « mediocrità, miserie ». Nel religioso voleva
constatare il continuo moto, la lievitazione di idee e di propositi ; la
stasi, il ristagno nelle iniziative invece sembravangli
un'assurdità. Scriveva così ad altri il suo pensiero: « Ti annoio se ti
ripeto che farci religiosi per restare mediocri è un'assurdità? No, non ti
può annoiare sentirselo ripetere. E il ricordo del durissimo cammino per
arrivare alla religione ti deve insistentemente spingere a grandi cose:
altrimenti perché soffrire tanto? Ci sono intorno a noi tante mediocrità,
miserie, incomprensioni che vorrebbero avvilirti e forse condurti ad un certo
adattamento meschino! Diffondi intorno a te la gioia e l'entusiasmo di
servire totalmente a Dio e alla Vergine nella carità e nella sincerità ». La gioia di vivere la
grazia di Dio, saperla comunicare agli altri in perfetta letizia, senza
musoneria e increspatura di volto, ecco il propellente segreto del suo
dinamismo: « Ama molto il Signore — insisteva un giorno — e in ordine al
Signore tutti quelli che devi avvicinare, perché solo così si riesce a fare
qualche cosa di bene. Che ti mantenga nella tua serenità abituale, anzi
nella tua allegria, che non ti
devi mai adattare
alla mediocrità! ». Le piccole cose erano i
suoi gesti, i suoi atteggiamenti di cordialità, di gentilezza; perfino lo
stesso silenzio era in lui un colloquio, un insegnamento. Ecco come Bruno da
Osimo seppe cogliere quegli attimi d’intensa serenità: « O cipressi di
Ronzano, dove egli mi condusse tra i suoi figli, lo ricordate ancora? Parco,
frugalissimo era il pasto che mi attendeva... L'ultima sera e fu quella del
commiato, volle a notte alta accompagnarmi in Viale Oriani, in casa d'un
amico...; e camminavamo vicini,
commossi, silenziosi!». 47. « Sia fatta sempre la volontà di Dio ! ». Riconfermato Superiore Prov. il 18 giugno 1940, coadiuvato da un Consiglio
efficiente di Padri attivissimi, sperava di poter finalmente attuare il più
ardito dei progetti, approvato nelle linee generali fin dalla Dieta
dell'anno precedente: la ricostruzione del Collegio di Ronzano ; ma lo stato
di guerra in cui la nazione venne a trovarsi con la nota dichiarazione del
10 giugno 1940, fece sfumare ogni buon proposito. Così il Padre Rossi
s'incamminò nel secondo triennio fra ristrettezze economiche, maggiormente
preoccupanti che si acuirono, quando i mali della guerra giunsero all'osso,
cioè i bombardamenti aerei s'inasprirono e il fronte bellico si spostò in
suolo nazionale. La salute, apparentemente buona e confortante, gli sembrava
ottima, addirittura ferrea. Ai primi di gennaio del 1942 assicurava: « Di
salute, sempre benissimo, anche troppo!»; e cinque mesi dopo insisteva: « Ho
sempre una salute di ferro ; anche se ho risentito un po' delle ristrettezze
dei momenti ». Quel risentire delle
ristrettezze non era che la forma larvale del tarlo roditore: la tisia. Intanto si spengono a
distanza di pochi mesi, nel cielo tersissimo della sua amata Provincia, tre
fulgide luci; ed egli ne è addoloratissimo. A Villa Caneri
di Ancona il 2 giugno 1942 muore il Padre Raffaele Maria Landi ed egli
accorre ad assisterlo per due notti consecutive; nell'Ospedale di Forlì il 17
luglio decede per trombosi il Padre Filippo Maria Francia; a Roma, presso il
Convento di S. Maria in Via, nella notte del 16 dicembre, per edema
polmonare, improvvisamente cede il grande cuore dell'amatissimo Padre
Albarelli. In questo stato di sofferenza morale accetta per la terza volta
il mandato di Padre Provinciale, il 25 maggio 1943; gli è accanto l'anima
gemella, Padre Gherardi, Socio Provinciale. Il declino delle forze fisiche
inesorabilmente segue il suo corso con la inconfondibile sintomatologia:
tosse, stanchezza, magrezza, stato febbrile. Scrive infatti: «Da oltre un
mese — siamo nel novembre 1943 — di salute non sto benissimo, per quanto non
sappia veramente di che cosa si tratti: molta tosse, molta stanchezza senza
far nulla, magrezza aumentata e giorni un po' di febbre ». Anime generose,
affezionatissime, gli fanno recapitare ai Servi ogni genere di alimenti, non
facilmente reperibili allora. Da Ancona giungono angosciose notizie: la
chiesa di S. Pietro distrutta da incursione aerea. Decide allora un viaggio
esplorativo, massacrante, dal 5 al 13 novembre 1943. «Dopo 4 giorni senza
notizie — così allude all'odissea di quei giorni — mi avventurai ad un
viaggio che non era il più indicato per un malato... Puoi immaginare il mio
stato d'animo... Sia fatta sempre la volontà di Dio! ». 48. L'ultimo guizzo della sua eroica carità. Si dice che il
tisiologo, Prof. Facchini, in una delle visite accurate al Padre Rossi, nel
congedarsi da chi l'accompagnava,
esclamasse: «Mi avete
portato un uomo morto!». In realtà il Padre Rossi
nel dare l'ultimo guizzo della sua eroica carità col faticoso viaggio in
Ancona, sopportato all'addiaccio, riparato alla meno peggio da un telo, nel
disagevole pigia pigia sul cassone d'un autocarro, ci fece capire quanto a
caro prezzo d'imperituro rimanga e si elevi solo il bene ! Scriveva infatti
tre giorni dopo: « Tutto, tutto oggi ci dice come dobbiamo crescere in bontà
per placare il Signore, in carità per lenire le sofferenze di tanti, in
serena confidenza in Dio e nella nostra SS.ma Madre, mentre assistiamo al
crollo e al fallimento di tutte le promesse umane. Ma il bene rimane sempre
bene e la vera carità è destinata a vincere ! ». E carità autentica non
poteva esserci se non l'olocausto fisico e il disfacimento totale del suo
fragile corpo! E questo avvenne nel decorso di 13 mesi dal giorno in cui il
Padre Gherardi lo accompagnò a Ronzano, il 6 dicembre 1943, fiducioso che
l'aria climatica di quell'eremitaggio, l'isolamento da inquietudini, le
amorevoli attenzioni dei confratelli e di tante persone benevoli, lo
avrebbero alquanto rinfrancato. E si avverò ciò che lo preoccupava tanto,
l'inazione, la paresi di ogni iniziativa. Scrisse nei giorni neri, così
gravidi di nembi impetuosi, che seguirono il viaggio in Ancona: « Puoi
immaginare le mie preoccupazioni, non solo di fronte a distruzioni, ma
all'arresto di ogni iniziativa, di ogni attività ». Oh quanto gli costava
quell'inerzia! Quel trascorrere le notti insonni o quell'appisolarsi di
giorno su uno sdraio, all'ombra d'una quercia, e sentire sovente il ronzio
di formazioni aeree lontane, farsi più possente il rombo, vederle passare
come falchi e gettarsi sulle città inermi della pianura padana! Erano ore di
agonia per lui e per quanti lo confortavano attorno. Gli rimaneva la lingua,
con cui comunicare coi suoi giovani nel luogo e la penna con cui scrivere a
quelli lontani. A questi diceva: « La mia salute va' come può andare ! Ma la
volontà di Dio, sempre! E Lui sa trarre gran bene dai mali peggiori ! ». A chi stimò degno, come
ultimo atto del suo perfetto olocausto, provvide di consegnargli il governo
della Provincia e nominò così Vicario Prov. il 22
giugno 1944 il Padre Gherardi il suo alter ego. 49. Triste tramonto
invernale. Oh quanta neve cadde
nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del nuovo anno, 1945! I Professi
sarebbero dovuti scendere ai Servi per i Vespri dell'Epifania ma fu
impossibile. Il Padre Gherardi che si trascinava una febbriciattola, quella
sera sentì accentuarsi l'oppressione, con brividi forti e acuti: sindrome
certa della bronco-polmonite. Nella camera attigua il Padre Rossi cercava di
rattenere i colpi d'una tosse asmatica, per non affliggere il confratello. Il
Dott. Antonio Luttichau che li visitò disse: — Non
saprei chi dei due sia più grave ! — e consigliò di trasportarli a Bologna. Un'auto o meglio ancora
un'autolettiga, in quei mesi duri di guerra, diveniva irreperibile e poi con
tutta quella neve l'accesso al colle di Ronzano non era impresa facile. Ci si
affidò al cavallino, dal mantello sauro, del colono Alberto Bonini. Intanto
il Padre Anacleto Maria Brasa, Primo Definitore Provinciale, cui spettava di
diritto prendere una decisione, consultatosi coi Padri: Barbieri e Dondini, informò dell'urgenza di trasbordo a Bologna, uno
al Convento dei Servi, l'altro alla Clinica « Villa Bellombra », i due
pazienti. Il Padre Rossi prima di partire in quel triste tramonto invernale
dell'11 gennaio, abbozzando un sorriso, volle parlare ai giovani Chierici
Professi. Ma i suoi erano accenti accorati, sibilanti quasi, per il respiro
affannoso, che penetravano nel cuore di quei ragazzi come stille di sangue;
insistette sulla carità: «Vogliatevi bene! Non chiudete né la mano, né il
cuore! Carità con tutti, alla porta, in chiesa, per la strada ! ». E i suoi bravi giovani
lo aiutarono a salire sul calesse, avvolto in una coperta, con a fianco il
Padre Barbieri, ed egli sparve così, tra quella
coltre di neve, laggiù nel viale dei cedri, come un feretro. Aveva scritto
agli alunni di Montefano,
che amava con particolare tenerezza
assieme al loro Maestro, Padre Giovanni Maria Nanni: « E per ora è un po'
presto fare pronostici circa un mio viaggio per venirvi a trovare che vi
rivedrei con tanto piacere! Vi sono sempre molto grato delle preghiere che
fate ogni giorno per me; se non ottengono così presto come vorreste, la
salute del corpo, son sicuro che gioveranno all'anima mia! ». Se i pronostici
potevano dirsi prematuri e falliti, le preghiere invece di quei giovani
erano valide a rinverdire l'animo sofferente del Padre Rossi, giunto ormai
all'ultimo atto della sua virtuosa esistenza, intento a compiere una morte
santa, da eroe della carità. 50. Si spense nel silenzio d'una umile cella. Antitesi del cuore
umano! La sera stessa in cui il Padre Rossi, prendeva stanza e si metteva a
letto, per non alzarsi mai più e chiudere così la sua giornata umana di amore
e di benefica carità, al freddo e nel
silenzio di un'umile cella, adiacente alla chiesa dei Servi, nel caffè
omonimo di Strada Maggiore, l'odio faceva scoppiare una bomba, seminando
lutto e rovine. Sangue fraterno inutilmente sparso! La sua malattia ebbe un
epilogo di 10 giorni, dolorosissimi. Diceva spesso al Padre Brasa: « Quanto
è duro morire! Gesù mio, perdonami! Ti offro la mia vita! ». Il giorno 12
gennaio lo assalse la prima crisi violenta di
catarro e di sofferenza edematica. Accorse un medico dal vicino ospedale «
Albini » di Via Broccaindosso. Nei giorni
successivi gli fu sempre accanto, con ammirabile premura, il Dott. Alfonso Vallisi. Intanto il Prof. Facchini interveniva per una
terapia anestetica, atta a mitigare i dolori lancinanti e a protrarre lo
stimolo ad un minimo almeno di alimentazione. La sera del 14 fratel Silvio Pecoraro, dei Padri Camilliani, assunse il
pietoso impegno della veglia notturna. Il 15, presente tutta la Comunità, il
Priore, Padre Borgognoni, gli amministrò la Estrema Unzione e gli impartì la
Benedizione Papale, mentre egli in piena lucidità di mente si accompagnava al
sacerdote in quel rito estremo. La mattina del 16 si comunicò per viatico,
effondendosi in espressioni di vivissima fede; nel pomeriggio ebbe la forza
di benedire a due a due i Chierici Professi, scesi da Ronzano per rendergli
un ultimo saluto. Intanto potè dettare al Padre
Brasa che non l'abbandonò mai un istante il « testamento spirituale ».
Ricevette il superiore dei Padri Camilliani, il Padre Provinciale dei
Predicatori, Padre Acerbi e il Canonico Abelardo Molinari. Dalla cattedra di
indicibile dolore quale era il decorso di quelle ore supreme egli si elevava
con una rassegnazione in Dio che strappava le lacrime. Chi scrive queste
riassuntive memorie non potrà mai dimenticare le poche parole, quasi
sillabate, dettegli ad incitamento: « Non potrò vedere la fine dei suoi
studi! Continui con costanza! Le sarò egualmente vicino! ». Ricevette
ripetutamente i suoi Padri, più affezionati, i giovani sacerdoti: Barbieri, Dondini, Rocca, Giogoli,
Mascagni, Palmieri Giovanni e al Padre Artusi che lo ebbe al fianco per un
triennio come Socio Provinciale, con un atto di mirabile umiltà, chiese scusa
di qualsiasi manchevolezza che vi fosse stata in quegli anni di governo. Nei
giorni 20 e 21 si acuirono maggiormente i patimenti; ci si attendeva uno
scompenso cardiaco improvviso. La mattina del 22 scemò
assai la lucidità di mente e ad intervalli delirava con frasi e parole
spirituali. Alle ore 21 ricevette coscientemente la benedizione dal Padre
Brasa annuendo col capo verso il Crocifisso che gli veniva dato da baciare.
Alle 22,15 in un ennesimo sforzo di espettorazione del catarro, la
respirazione si fece più faticosa ed irregolare e divenne un rantolo; dopo
brevissima agonia il respiro si affievolì, si spense per sempre, mentre Padre
Brasa e Fratel Silvio lo
raccomandavano a Dio. La notizia della sua
morte si sparse in un battibaleno. Un devoto pellegrinaggio affluì ai Servi,
da ogni parte, alla sua salma esposta in sagrestia. Il giovedì, 25 gennaio,
si svolsero imponentissimi i funerali. I chierici Domenicani e Francescani
cantarono la Messa Solenne di Requie, celebrata dal Padre Acerbi, Provinciale
dei Predicatori, mentre il confratello,
Padre Alfonsi, tessè l'elogio
funebre. L'Em.mo Card. Arcivescovo di Bologna, Card. Nasalli Rocca di Cornegliano, si fece rappresentare dal
Rettore della Basilica di S. Petronio, Mons. Giorgio
De Maria. Una folla di fedeli, di rappresentanze del Clero Secolare e
Regolare, di Istituti Femminili, di iscritti al T.O.S. e all'A.C. con
stendardo e labari abbrunati, seguì il feretro fino a Porta Mazzini. In
quella manifestazione di cordoglio cittadino ci sia consentito di rilevare
la partecipazione al completo delle sue Comunità Religiose, più vicine, di
Bologna, Budrio e Ronzano coi rispettivi Chierici Professi e Alunni e i
devoti amici, Raimondo Manzini e Fulvio Milani. La sua salma seguì per la
Certosa e venne tumulata accanto a quella del carissimo Padre Albarelli. I confratelli lo
piansero, cercarono di tradurre l'angoscia nell'immaginetta necrologica,
esauritasi nel mattino stesso dei funerali, lo ricordarono con la stampa,
esaltandone la figura di ardente apostolo della Madonna e della carità,
vollero perpetuarne la memoria con l'iniziativa benefica di una borsa di
studio, con la fusione in bronzo del suo volto da conservarsi a perenne
riconoscenza nel Collegio di Ronzano, con una solenne commemorazione svolta
dal compianto Padre Gherardi il 9 agosto 1955 davanti ai Padri Capitolari
della sua provincia sul colle di Ronzano. Tuttavia queste
espressioni di affetto, di devozione alla sua benedetta memoria furono e
saranno sempre contingenti ed inadeguate, rispetto alla immensa eredità di
valori e di virtù che egli ci lasciò. Di lui è rimasto
incancellabile, quasi scritto col suo sangue vermiglio, il « Testamento
Spirituale », in cui arde l'inestinguibile fiamma della sua eroica carità: « Domando perdono a
tutti della nostra Provincia in qualsiasi modo li avessi offesi. Se qualche
volta ho dovuto essere severo con alcuni, l'ho sempre fatto con retta
intenzione e con sincero spirito di amore all'Ordine e alla nostra diletta
Provincia in particolare. « Ringrazio tutti,
Padri e Fratelli, nonché quei secolari che mi hanno dimostrato affetto e che
mi hanno in qualsiasi modo beneficiato: chiederò a Dio la ricompensa per
loro. « Offro al Signore
tutte le mie pene che ho sofferto e che soffro in questi giorni (e sono tanto
grandi), prima in isconto dei miei peccati e poi
per il bene della Provincia e i membri della medesima, per ottenere loro da
Dio maggior spirito dì compatimento vicendevole, maggior comprensione, più carità,
più larghezza di vedute e spirito di sacrifìcio. « Non ho nulla, ma
tutto quello che alla mia morte troveranno presso di me, lo metto nelle mani
dei Superiori, affinché ne dispongano come essi credono meglio nel Signore. Tale in sintesi ci è
sembrata la figura del Padre Rossi: una vita sbocciata e uscita da un'alba di
gioia e di afflizione, rapidamente sviluppatasi ed estintasi in un meriggio
rovente di carità e di olocausto. GIACOMINO DA RONZANO
(Padre Dott. Renato Tommaso Maria Santi) – 1966 PER UN
DECENNIO PARROCO AL
S. CUORE DI ANCONA SPREZZÒ
OGNI ARRESTO AL SUO
LOGORANTE PROGRAMMA DI PASTORE
E DI PADRE ATTRAENDO
SCHIERE DI ANIME ALLE FONTI
PERENNI DELLA GRAZIA CON LA
DIREZIONE SPIRITUALE L'ASSISTENZA
DELLE MASSE CATTOLICHE E
L'INSEGNAMENTO RELIGIOSO NELLE SCUOLE DA OLTRE SETTE ANNI PRIORE
PROVINCIALE S' IMMOLÒ PER IL
BENE DELLA SUA
PROVINCIA PROFONDENDO
LE ATTIVITÀ PIÙ PREZIOSE NELL'
EDUCAZIONE DELLA GIOVENTÙ RELIGIOSA NELL'INCREMENTO
DELLE MISSIONI BRASILIANE DOVE SACERDOTE
NOVELLO AUSPICAVA
DI RIVOLGERE EGLI STESSO LE PRIME
ENERGIE LE COMUNITÀ
SERVITANE DI BOLOGNA
E DI RONZANO UNITE
Al PARENTI - AMICI - ESTIMATORI NELL'INVOCARE
DALLA VERGINE L'ETERNO RIPOSO A CONFORTO
DEI CONFRATELLI ASSENTI LO ADDITANO A LUMINOSO ESEMPIO DI VIRTÙ ESIMIE E DI
PRECLARI MERITI L'epigrafe, dettata
da Giacomino da Ronzano, fu inserita nell'immaginetta necrologica, le cui
copie nella mattina dei funerali andarono esaurite, tanto da farne una
ristampa per le molte richieste. |