I Servi di Maria a Massa e alla Marina Frammenti di storia servitana Fr. Franco M. Azzalli
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A. Le origini della presenza dei Servi
a Marina di Massa (sec. XVII) La
prima notizia in documenti ufficiali dell'Ordine dei Servi di
Maria riguardante la presenza dei Servi nella zona di Massa o della sua
Marina si trova nel 1619: «Nell'anno 1618 p. p. padre
Giovanni Battista Cappelletti di Massa Carrara dell'Ordine dei Servi di Maria
venne in possesso di una cappellina (edicola) del luogo chiamato "alla
Marina" che l'illustrissimo signor Giulio Pachiera,
genovese,
si era costruito come consta dagli atti (...) Ceccopieri,
in questo anno venne posta la prima pietra per costruire il convento, del cui
luogo e del
suo progresso fino all'anno 1721 in cui sto scrivendo, parlerò più
diffusamente nell'anno 1695». In
quegli anni il Principato di Massa e Carrara era governato
da Alberico I Malaspina, che morirà alla fine del febbraio del 1623. Non
è improbabile che il signor Giulio Pachiera (sul
quale non sono state fatte ricerche approfondite) avesse
conosciuto i Servi nella sua città natale, Genova, dove i Servi erano
presenti dal 1327, a poco meno di un secolo cioè, dalla fondazione
dell'Ordine dei Servi di Maria. È,
quello dei Servi di Maria, un ordine religioso la cui fondazione si fa
tradizionalmente risalire al 1233, quando sette commercianti fiorentini, già
appartenenti ad una confraternita chiamata la
Società Maggiore di Santa Maria, si riuniscono insieme - caso unico, fino ad
ora, di fondazione di un Istituto religioso iniziato non da una o due
persone, ma da un gruppo di sette. Sotto la protezione del vescovo di Firenze Ardingo (+ 1247) i
Sette (dei quali conosciamo con certezza solamente due nomi. Alessio
e Bonfiglio), salgono nella solitudine del monte Senario molto probabilmente
attorno al 1244-1245; alla comunità di Monte Senario viene
indirizzato il primo documento della Chiesa che è come un riconoscimento
ufficiale, nel 1249. Nell'anno successivo la primitiva comunità, aumentata di
numero, si espande fondando i conventi di Firenze (la ss.ma
Annunziata) e Siena. Superata la difficile situazione creatasi con il
Concilio di Lione II (1274), l'Ordine dei Servi veniva
approvato definitivamente l' 11 febbraio 1304 dal Papa Benedetto XI. L'espansione
dei Servi di Maria continuava per tutta la prima metà del secolo XIV, fino
alla grande peste che colpì tutta l'Europa tra il 1347 e il 1350. È proprio di questo periodo la fondazione del convento di
Genova. Solamente
nel 1488, grazie ad una decisione del Capitolo generale celebrato a Bologna
(il più grandioso e numeroso della storia dell'ordine, al quale parteciparono
più di 900 frati), venivano separati 12 conventi
dalla Provincia Lombarda, dando vita alla Provincia di Genova, che nel
1750-51 muterà il nome nell'attuale, Provincia piemontese. Ma
ritorniamo alla fondazione nella Marina di Massa: pochi mesi dopo la posa
della prima pietra del convento, abbiamo una preziosa testimonianza di un
frate dell'Ordine (probabilmente uno studente che, in vacanza dalle sue
parti, era stato incaricato dall'Annalista dell'Ordine, fr. Arcangelo Giani, di
fornirgli informazioni circa la nuova fondazione): «A' piedi di Massa nella stessa arena del mare haviano un poco di luoghetto preso non so che
anni sono da un certo fra Gio. Battista da Genova
prima converso poi fatto sacerdote, e vi sta con un Conversetto
di questo luogo dove ha fatto fabricare una
Chiesetta bella per simil luogo et un poco di habitatione con titolo di s.
Giuseppe et il giorno della festa di detto santo ci fu un concorso
grande di tutta Massa Carrara, Montignoso, Pietrasanta et da altri luoghi circonvicini». Non
è facile reperire notizie circa i primi anni della
presenza dei Servi nella zona: sappiamo certamente che la comunità religiosa
veniva canonicamente eretta solamente nel 1634, quando durante il Capitolo
provinciale tenutosi a s. Stefano di Alessandria il 28 maggio, veniva eletto
il priore conventuale, p. Giuseppe di Massa, ed il convento veniva inserito
nella lista delle comunità della Provincia al 20° posto, l'ultimo
dell'elenco. Pochi
anni dopo, nel 1650. abbiamo una descrizione
approfondita della situazione della comunità. Il sommo Pontefice Innocenzo XI
aveva richiesto l'anno precedente un rigoroso censimento del numero dei
conventi esistenti in Italia, del numero dei frati assegnati a ciascuno di essi, e dell'entità delle entrate conventuali, in
vista di una riforma della vita religiosa in Italia6. Questo il
testo della relazione fatta dai religiosi:
DE'
PADRI DELL'ORDINE DE' SERVI NELLA
CITTÀ DI MASSA Il
Monastero di s. Giuseppe dell’Ordine de' Servi, situato nella città di Massa
del Prencipe, Diocesi di Luni, e Sarzana, posto alla spiaggia della Marina,
lontano dalla città due miglia, luogo molto frequentato non solo da' marinarj, che dì continuo sbarcano
a quella spiaggia grande, ma ancora da tutti li paesani circonvicini per la
molta devozione del luogo al Santo, dove anco in detto luogo è una torre
forte, e molti magazzini per ricevimento, e scarico delle robbe con altre abitazioni circonvicine, li cui popoli
hanno bisogno di Messe, confessione, ed altri ajuti
spirituali, fu fondato, et eretto l'anno 1618 con l'autorità, e consenso del mons. Vescovo Salvagone vescovo
di Sarzana, e col consenso, et promotione del
Principe di detta città e de ' Regolari che sono in detta città, da p. Gio. Battista Cappelletti di detto luogo al presente
priore del Convento. Ha
la sua chiesa sufficiente per il servizio del popolo sotto il titolo di s.
Giuseppe. Il monastero è di struttura civile in quadro tutto serrato e chiuso
di muraglia nel primo piano, et ingresso, è principiato un claustro quadrìlongo, dal quale s'entra
nel primo piano a terra, dove ci sono dieci stanze, refettorio, cucina,
cantina, con due corridori. Vi è la scala per salire di sopra, al qual piano
ci sono due corridori con quindici stanze, e contiguo a detta
fabrica ve n'è un altra con quattro stanze per uso
de' frati. Non
ha avuto prefisso numero de' frati, se non del 1634, quando eretto priorato:
et al presente ci stanno due sacerdoti, un chierico, tre conversi, et un
servente. Il
padre fra Gio. Battista Cappelletti, priore di
detto luogo Il padre fra Leonardo Leonardi, sacerdote
di detto luogo Fra
Girolamo Pisani da Moneta, chierico Fra
Antonio Tivegni da Montignoso, laico professo Fra
Giuseppe Bondi da Reniso, laico professo Fra
Domenico Caetani da Massa, laico professo Gio.
Martinelli da Carrara, servente oblato[1]. Nella
sintesi all'inizio del volume, vengono riportate
altre notizie interessanti; fatto il calcolo tra le entrate (quelle certe
assommano a scudi 185, 75 mentre quelle incerte - provenienti dalla chiesa,
sagrestia, elemosine e simili -sono paria scudi 168, per un totale di scudi
353,75) e le uscite, che assommano a scudi 74, «dovendosi
però ora fare nuovo assegnamento della famiglia rispettivamente al vitto, e
vestito a ragione di scudi 40 per bocca se li ponno assegnare
frati n° 7» In
seguito al censimento del 1650 venne pubblicata la
bolla Istaurandae regularis
disciplinae del 15 ottobre 1652, con la quale
venivano soppressi molti conventi di tutti gli Ordini religiosi, per i Servi,
102 dei 261 conventi in Italia9, quelli cioè "nei quali a
causa del piccolo numero dei religiosi non era possibile osservare la
regolare disciplina". Il
convento di s. Giuseppe non venne coinvolto in
questa soppressione decretata dalla Chiesa, ed arrivò serenamente fino alla
fine del secolo XVII. B.
DAL TRASFERIMENTO A MASSA ALLA
SOPPRESSIONE DEL CONVENTO (Sec. XVIII) Verso
la fine del secolo XVII i frati Servi di Maria lasciarono l'originaria
località della Marina per andare a stabilirsi nella città di Massa. Abbondante
è il materiale archivistico che documenta i passi fatti dai Religiosi per
ottenere il trasferimento: particolarmente interessante, anche se di parte perché
scritto dal protagonista principale
dell'avvenimento, è una dettagliata cronistoria delle circostanze che
portarono al cambio di residenza dei Servi di Maria, fatta dal massese p.
Giovanni Pietro Bertazzoli che, nato nel 1647, ebbe
uffici di rilievo nell' Ordine, fino a ricoprire la più alta carica, quella
di Priore generale. Anche
se probabilmente da alcuni anni si parlava della disagevole situazione del
convento di s. Giuseppe alla Marina, e della
necessità di trovare una soluzione al problema, solamente nel 1689 i frati
compiono i primi passi ufficiali. Una
supplica al vescovo di Luni e Sarzana mons. Giovanni
Battista Spinola ci permette di comprendere le ragioni che spingevano
i frati a chiedere un trasferimento, in un primo momento "almeno per li tempi dell'estate e mesi pericolosi": «Il
Priore, e Padri di s. Giuseppe dell'Ordine de' Servi di Maria Vergine humilissimi Oratori di Vostra Signoria Illustrissima espongono, come ritrovandosi il loro monastero nella spiaggia del mare
distante circa due miglia da Massa in sito soggetto all'inondazione del fiume
provano nell'escrescenza delle acque gravi pregiudicij,
e massime quello della salute loro, a causa che il posto vicino alla palude riempito
da materie crasse portate dal detto fiume manda esalationi
sensibili di mal'odore, e secondo l'esperienza
dannosissima a' poveri Oratori, havendone
patito longhe. e pericolose infermità,
temendole maggiori in quest'anno per essere stata più grande la detta escrescenza d'acque come è
notorio, anzi per sentirsi di già anticipatamente ai calori dell'estate detto
mal'odore. Perciò
supplicano la gran pietà di Vostra Signoria Illustrissima volersi compiacere, che
per riparo della loro salute possino ritirarsi in
qualche casa a
pigione in Massa, o suo Distretto nell'aria buona almeno per li tempi dell'estate, e mesi pericolosi, e quindi vivere
regolarmente sotto titolo d'Hospitìo senza però lasciare la necessaria officiatura di
detto convento».
Era quindi una situazione pericolosa per la salute (si registravano casi di
malaria) particolarmente nell'anno 1689, il motivo che spingeva i frati a
chiedere il trasferimento temporaneo,
soprattutto nei mesi estivi, nella città di Massa, in casa presa in
affitto. Dal vescovo giungeva risposta affermativa con documento del 7
maggio 1689. L'anno
successivo i religiosi fanno un'altra supplica al vescovo: la situazione si
era ripetuta, e l'esperienza dell'anno precedente aveva insegnato ai frati
che la casa nella quale vivono deve avere una
struttura che favorisca il loro particolare stile di vita: oppure per i Servi
di Maria era già chiaro che bisognava puntare ad un definitivo trasferimento
nella città, lasciando la località in riva al mare, e la richiesta del 1689
era stata mitigata per tentare di aprire uno spiraglio. In
tutti i casi nel 1690 i frati, vedendo che in una
casa presa in affitto rimaneva molto difficile osservare la vita religiosa,
chiedono al vescovo di "fondare e costruire un ospizio nel campo, e sito
di Camporimaldo proprio degl'Oratori[2]. I
religiosi, evidentemente, nei mesi precedenti si erano mossi per cercare
diverse possibilità di presenza in Massa (come il p. Bertazzoli
descrive accuratamente nella sua narrazione) ed
avevano ottenuto la donazione di un luogo in Camporimaldo. La
sistemazione in Massa, comunque, era ancora provvisoria, rimanendo s.
Giuseppe a Marina la sede ufficiale dei Servi di Maria. Ma
la direzione dei frati era di stabilirsi definitivamente e permanentemente a
Massa, lasciando il luogo sul mare. Per questo, dopo alcuni anni, nel 1694 i
Servi di Maria rivolgono un'altra supplica, questa volta alla Sacra
Congregazione per lo stato dei Religiosi (competente per l'affare), del
seguente tenore: «Il
Priore e Frati del Convento di s. Giuseppe di Massa dell'ordine de' Servi di
Maria Vergine humilmente espongono alle Eminenze
Vostre, come trovandosi il loro convento situato in distanza sopra due miglia
dalle mura dì detta città di Massa nella spiaggia del mare in aria poco
salubre per le paludi vicine, per il che hanno patito gravi disaggi d'infirmità, le quali si sono rese più deplorabili per il
non poter haver pronti li
medici, né medicamenti; però fatta matura riflessione al caso, assistiti
dalla pietà di quel signor Duca Carlo Cybo, si
risolsero con le dovute forme di fondare alla detta città un edificio a uso
regolare, nel quale potessero ricoverarsi nelle loro malatie,
et altri Religiosi bisogni sotto titolo d'Ospizio: ed essendo presentemente
detta fabrica coperta per la metà et in stato di
rendersi fra breve tempo habitabìle con il commodo di dieci stanze, senza l'Oratorio, che può
servire per Chiesa, e senza le officine necessarie per la communità
e parenti, che in vece di servirsi di detta fabrica
per ospizio, fusse più opportuno il passarvi in
qualità di Convento (...); ricorrono alla benignità delle Eminenze Vostre,
acciò che voglino concedere la licenza che possano
gl'Oratori passare dal detto Convento di s. Giuseppe alla detta fabrica nuova, e che l'entrate
di quello servano per il mantenimento de' claustrali di questo, dichiarandola
Convento, con darli titolo di Maria Vergine Addolorata1', e
sottoponendo al nuovo Convento il vecchio con qualità di Grancia, e membro in
perpetuo. (...)». I
frati, quindi, avevano già iniziato la costruzione dell'edificio, sotto la
protezione e l'incoraggiamento del Duca di Massa, e chiedono alla santa Sede
di poter trasferire definitivamente la loro residenza a Massa, così che tutto
ciò che prima faceva riferimento a s. Giuseppe della Marina, ora sia
trasferito a Massa; e il vecchio convento sia considerato una proprietà del
nuovo. La sacra Congregazione per lo stato dei Religiosi, ricevuta la
richiesta e analizzata la relazione del vescovo di Sarzana, concesse il
trasferimento. convento di s. Giuseppe
"andò in decadenza per essere passato in proprietà di privati. Nel 1711
ospitò una fabbrica di vetri che ebbe poca fortuna per scarsa attività e
quindi anche breve durata. In seguito il convento andò in demolizione. La
chiesa di s. Giuseppe subì la stessa sorte." La
nuova presenza a Massa, invece, cresceva: nel 1697 i frati chiedevano al
Vescovo di Sarzana di poter continuare a celebrare solennemente la festa della
Madonna Addolorata anche in città, come già nell'antico convento[3]. Anche
la costruzione del Convento proseguiva, sempre protetta dalla benedizione di
Dio, come più volte sottolinea il Bertazzoli nella sua relazione. Il Convento era comunque
molto grande, e la sua edificazione comportava grande spesa e tempo. I
contadini, devoti alla Vergine e affezionati ai frati, desideravano contribuire
alla costruzione, ma non potendo lavorare se non nei giorni festivi, sollecitarono
i Servi di Maria a fare un'ennesima richiesta al Vescovo, nell'estate del
1701, del seguente tenore: «Il
Priore e Padri dei Servi di Maria Vergine del Convento di Massa devotissimi
Oratori di Vostra Signoria Illustrissima li rappresentano, come sono già
dieci anni, che diedero principio ad una fabrica di Convento vicino alle mura di Massa, già che stimorno necessario abbandonare l'ulteriormente vivere
nell'Antico, che hanno appresso al mare per l'aria notabilmente nociva alla
salute; di modo che mal volentieri venivano li Religiosi, e con ragione, ad
abitarvi: et anco utile, perché in quel luogo al mare poco, o ninno
avantaggio portavano al Publico nel servitio di Dio. E perché la loro mira fu, essendo vicini
a Massa, terminata la fabrica di costituirvi una
competente famiglia di religiosi, quali vivendo secondo l'osservanze
Regolari, et assistendo all'amministratione de'
Sacramenti et altri eserciti], che li si conviene a
Religiosi, potessero meglio servire Dio, et alla Beata Vergine Maria e così
riuscire d'edificatione, e profitto spirituale alli Populi. Fu favorita da Dio
la loro buona intentione, perché li
poveri Religiosi con poco capitale han la riserba della Divina Provvidenza:
diedero principio alla fabrica, e con l'elemosine de' Benefatori ne
hanno fatto una parte, ove posson dimorare pochi
Religiosi, e perciò attesa l'imperfetione della
medesima, non si può per anche racogliere il frutto
spirituale nella forma dissegnata; per proseguire,
e perfetionare la qual fabrica
si crederebbero l'Oratori impossibilitati se confidassero nelle rendite del
Monastero, che sono insufficienti a mantenere quelli pochi Religiosi con le
spese della fabrica: sperali perciò, che le divote persone debbano continuare nella pietà che hanno
sin ora dimostrato, fra quali vi sono dei contadini, che non potendo dar
aiuto con denari, o altri cementi, impiegarebbero
volentieri (la) loro opra a titolo d'elemosina col
portare qualche some di sassi, o sabbia nei giorni di festa, come altre volte
si è praticato in Massa in occasione di fabriche
ad onor di Dio, già che li giorni di lavoro son
astretti consumarli nella coltura della campagna per il sostentamento delle
loro povere famiglie. Pertanto
li medesimi Oratori confidati nella pietà di Sua
Altezza Illustrissima tutt 'ottanta a promuovere l'opere Pie, riverentemente la supplicano a degnarsi
dichiarare, e quanto faccia di bisogno conceder la licenza, che sia lecito a' contadini portare a titolo d'elemosina qualche soma di
sassi, o sabbia per uso di detta fabrica nei giorni
di festa, per qual tempo che sarà stimato conveniente da Vostra Altezza
Illustrissima per la salute e conservatione della
quale pregheranno l'Oratori sua Divina Maestà, e la Beata Vergine Maria». Nel
testo della supplica al vescovo di Sarzana vengono
indicati nuovi motivi che portarono i frati a chiedere (ed ottenere) il
trasferimento dalla Marina: il fatto che per l'aria malsana, era difficile
trovare frati disponibili al trasferimento a Marina dalle altre comunità
della Provincia piemontese; e la scarsità di incidenza pastorale in riva al
mare, rispetto a quella in città. Il
vescovo anche questa volta concedeva il permesso richiesto, aggiungendo
alcune precisazioni: «Si
concede licenza a ' contadini di Massa di poter condurre con bestie some di
sassi o di calce o di sabbia per uso della soprascritta fabrica
nelli giorni di festa purché la festa non sia delle
principali dell'anno. Ed in detti giorni dai
suddetti contadini non si passi un viaggio per ogni festa generale; però non
dovrà farsi in tempo dei divini Uffizij. In
fede di che, ecc. Dato
in Sarzana nel Palazzo Episcopale dì 20 dicembre 1701» Nel
1712 il convento di Massa, che apparteneva alla Provincia di Genova "(...) nella Dieta tenutasi a Firenze il 19 aprile sotto la
presidenza del Priore generale Bertazzoli che da
tanto tempo lo desiderava venne accettato dalla Provincia toscana ed in essa
inserito. Era Provinciale il p. Pier Antonio Rossi che ottenne, con il
concorde consenso di tutto il suo Definitorio, l'approvazione del Granduca
di Toscana Cosimo III e del cardinale protettore dell'Ordine e della santa
Sede il 20 agosto 1712" Pochi
anni dopo, nel 1750. abbiamo una statistica che, pur
nell'aridità dei numeri, ci può dare un'esatta descrizione della presenza dei
Servi a Massa: il convento (inserito nelle liste della Provincia toscana al
13° posto), era il settimo della Provincia in relazione al numero dei frati
poiché la comunità religiosa era composta da 7 sacerdoti e 4 fratelli laici. Verso
la fine del secolo, però, la situazione andava aggravandosi per l'esistenza
stessa della vita religiosa: le Leggi del Granducato di Toscana erano sempre
più restrittive. Leggiamo
nel registro della Provincia di Toscana, il 2 ottobre 1788: «In
detto giorno fu pubblicato per ordine del Governo
una Legge con cui veniva tolta ai Regolari di Toscana qualunque comunicazione
coi rispettivi Generali dimoranti fuori di Stato. Come pure venivano esclusi dal Granducato in termini di mesi tre
tutti i Religiosi Forestieri che non fossero naturalizzati avanti detta
Legge, e che non ottenessero in detto tempo la naturalizzazione». I frati ricorrevano, chiedendo una deroga
alla Legge, imposta in tempi brevissimi: ma l’11 ottobre arrivava implacabile
la risposta: «Sua Altezza Reale non trova alcun giusto motivo per
derogare alla Legge dei 2 stante riguardo ai
Religiosi del suo Ordine in Toscana, i quali dovranno tutti conformarsi
esattamente alla legge medesima». Rimanevano
due possibilità: o adeguarsi alla Legge, con il rischio di chiudere per la
partenza dei Religiosi non nativi del Granducato di Toscana (Massa era infatti in uno Stato differente dal Granducato, e anche
se non abbiamo dati certi, possiamo supporre che vi sarebbe stato comunque
una diminuzione dei frati in comunità, poiché un certo numero di Religiosi
era certamente nativo del Principato di Massa) oppure tentare la strada di
cambiare giurisdizione religiosa, passare cioè ad un'altra Provincia
dell'Ordine. Il giorno 11 novembre infatti i
Religiosi ricevevano una lettera del Segretario di Stato del Granducato di
Toscana del seguente tenore: «(...) Se il Convento di Massa
si dichiarerà di restare unito alla Provincia di Toscana, allora i nativi di Massa e Carrara
potranno riceversi, e vestirsi nei
Conventi di Toscana, purché non possino essere
superiori, né godere dei vantaggi dei Toscani prima di essere stati
naturalizzati; e nel caso che ancora i
Massesi si staccassero dalla Provincia toscana, dovranno
anch'essi partire dai conventi di Toscana». La
strategia seguita dall'Ordine fu quella di chiedere
l'incorporazione del convento ad altra Provincia. Così il 27 marzo 1789 il
Priore generale p. Gregorio Clementi ed il
Procuratore generale p. Carlo Francesco Caselli ottenevano dalla sacra
Congregazione dei Vescovi e Regolari l'autorizzazione di aggregare il
convento di Lucca alla provincia di Mantova e quello di Massa alla Provincia
di Lombardia non Austriaca dei Servi di Maria. Ma la fine del
convento era solamente rimandata di pochi anni. Il Principato di Massa e
Carrara subiva l'occupazione francese dal 30 giugno
1796 ed il 9 luglio veniva unito alla Repubblica Cisalpina (fino al marzo
1805, quando diverrà parte del Regno d'Italia di Napoleone). Durante il Capitolo
provinciale celebrato a Parma il 9 maggio 1797 (quindi in
piena occupazione francese) la comunità dei Servi di Massa esiste ancora, ed
il Priore conventuale p. Giovanni Battista Andrei è confermato nel suo
ufficio "per giusta causa": probabilmente non aveva potuto
partecipare, proprio a causa dell'occupazione. Una
lettera del Priore generale p. Filippo Cerasoli al p. Francesco Lomi (reggente agli studi della Provincia) del 12 agosto
1797 accenna ad una situazione estremamente fluida. Scrivendo
il 2 dicembre 1797 al priore del convento di Massa Andrei il Priore generale,
richiesto di un suggerimento circa il trasferimento di un frate, non si sente
né di chiedergli di restare, né di mandarlo via "atteso il rovinoso
sconvolgimento, ed incertezza delle cose". Pochi
giorni dopo, il 16 dicembre, lo stesso Priore generale intendeva scrivere al
p. Francesco Lomi, ma non si fidava ad inviare una lettera per posta "non crediamo
doverlo azardare per posta per ora ". Sono
segnali di una situazione che andava rapidamente deteriorandosi: presto nella
Repubblica Cisalpina si arriverà alla soppressione di molti conventi degli
Ordini religiosi. Ed anche se per ora non ci è dato
conoscere nei particolari la data di soppressione del convento ed il destino
dei frati, dobbiamo supporre che proprio in questo periodo terminava la
vicenda della presenza dei Servi di Maria a Massa. Dopo
la Restaurazione il convento venne impiegato come
locale scolastico, uso che conserva tutt'ora. C.
IL RITORNO DEI SERVI DI MARIA A MARINA DI MASSA Proprio
il 4 luglio 1914, partivano due frati della Provincia piemontese, p.
Gioachino Pecchio e fra Antonio Signori per ripristinare la presenza dei
Servi di Maria nella zona10. Come è
avvenuto che i frati dell'Ordine dei Servi ritornassero, dopo più di due
secoli, a Marina di Massa? Il
primo accenno nelle fonti archivistiche di un interessamento dei Servi di Maria per il ritorno a Marina di Massa è in una lettera
del 17 aprile 1914, scritta dall'allora
Priore provinciale piemontese p. Giovannagnelo M.
Demarchi al Priore generale p. Alessio M. Lépicier: «Reverendissimo P. Generale. dal vescovo di Massa-Carrara, che conosco da quando stavo
ancora in Torino, mi fu offerto un convento; convento per modo di dire, e mi
spiego.
Un tram a vapore congiunge Massa ad un paesello in
costruzione detto Marina, perché si trova proprio in riva al mare. La
posizione è amena; vi è una magnifica spiaggia e una
vasta pineta si' da un lato che dall'altro. Vi saranno una cinquantina di ville e diverse case sparse
nella circostante pianura, in tutto una popolazione stabile di 2.500, che
all'epoca dei bagni sale a
circa 7.000 anime. La chiesa è centrale ma piccola, e la
casa pure poco meschina e mal tenuta. Annesso alla casa vi
è un orto con muro tutt’ intorno di
circa 250 metri quadrati. Il vescovo ha già pronto il decreto per eriger la piccola chiesa in parrocchia e più che
volentieri la affiderebbe a noi senza alcun onere o legame particolare
eccetto la cura d'anime e gli annessi e connessi a questa cura. Attualmente ha un reddito netto di £. 1.000, più
l'elemosina delle Messe e gl'incerti parrocchiali. Nella casa vi potrebbero stare solo due sacerdoti con un fratello laico,
ma è certo che in pochi anni si potranno trovare i mezzi per edificare
casa e chiesa. Il
prete che si trova adesso, il Vescovo ha i suoi motivi per licenziarlo e rimandarlo
nella sua Diocesi, ciò che farà nei primi giorni del prossimo mese, e
vorrebbe che io mandassi subito un sacerdote come provvisorio, senza impegno
affatto di lasciarlo in seguito, se mai non volessimo stabilirci in quel
luogo. Udite le sue ragioni, gli risposi che avrei subito scritto a Vostra Paternità
Reverendissima, e che sarei stato quasi certo di aver il permesso di mandar
uno appena il posto sia vacante, ma solo provvisoriamente. Gli feci notare
che nella Dieta avremmo poi deciso sul quid faciendum.
Così rimase contento. Ora, per venire all'atto
pratico, qualunque cosa mi si dica contro, io sarei di parere di mandare il
padre Rattalino12. È un
uomo che ha i suoi difetti, ma ha pratica di cose parrocchiali, predica
discretamente e sa anche trattare con il popolo. Di più offre sicurezza per riguardo ai costumi ed è anche
di una indole più adatta per star da solo, o quasi,
che in una comunità grande. Prego
Vostra Paternità Reverendissima a dar il consenso su quanto sopra esposto, ed anche con una certa
sollecitudine, perché quell'ottimo Vescovo,
attende da me una risposta favorevole per non stare sulle spine, poiché quel prete, dice di doverlo licenziare ad
ogni modo, e non vorrebbe mettere un altro nel frattempo, che sarebbe, in
caso di accettazione, tutto a nostro danno. Posso
anche dire che per parte della Provincia non vi saranno spese eccettuate
quelle del viaggio e di qualche utensile per la casa. Il Vescovo farà ripulire a
sue spese la casa, e altre buone persone daranno una mano per il resto. Fui ieri a vedere il luogo e
a parlare con il Vescovo. La distanza dalla città dì Massa sarà di circa 5 chilometri (,..)». L'origine
di quella chiesa della quale si parla nella lettera del Provinciale risaliva
a qualche decennio prima: domenica 29 settembre 1878
a Marina di Massa, in località "Dogana", fu posta la prima pietra
dell'edificio sacro, su terreno donato dall'avvocato Francesco Tasso. Pochi
mesi dopo, domenica 27 luglio 1879, la chiesetta veniva
ufficialmente inaugurata e dedicata alla Madonna della Consolazione e a San Giuseppe
ed in essa furono trasportate statue, marmi e suppellettili dalla chiesa di
S. Leonardo al Frigido, che stava andando in rovina. Per
18 anni la chiesa della "Dogana" fu
officiata sporadicamente dal parroco del Mirteto, nella cui giurisdizione si
trovava. Dal 1897 fu nominato il primo cappellano stabile, don Luigi Frizzotti, che dimorò regolarmente a Marina, come se
fosse parroco. Solamente nel 1910, con bolla vescovile del 19 ottobre, la
chiesa veniva eretta in parrocchia ( ma riconosciuta
solo ecclesiasticamente): il primo parroco fu don Guglielmo Pizza (probabilmente il sacerdote del quale si
parla nella lettera del Demarchi). Torniamo
alla lettera del Demarchi, che ci fornisce interessanti indicazioni circa
Marina di Massa in quel periodo, e ci fa vedere la decisa volontà del
Provinciale di accettare la proposta del Vescovo di
Massa. Ma il Priore generale, che rispondeva
sollecitamente, il 20 aprile, non era dello stesso avviso del p. Demarchi: «Carissimo P. Provinciale ho ricevuto la sua lettera, e poiché quanto in essa mi
propone e domanda è di una certa importanza e gravità ho voluto sentire in
proposito il parere di PP Consultori. I quali, pur lodando il suo
zelo per la dilatazione della Provincia, sono stati in maggioranza di parere
contrario, tanto all'accettazione del luogo per parte dell'Ordine, come anche
alla proposta di mandare colà provvisoriamente, benché senza impegno, il
P. Rattalino. Considerando,
infatti, le condizioni attuali della Provincia, osservano che da una parte
vi è non poca scarsezza di sacerdoti e dall'altra non manca davvero il da
fare nei conventi che già abbiamo. A Monte Berico[4],
per esempio, convento
che ci deve stare molto a cuore, il p. Priore si lamenta per la deficienza di buoni Padri; ad Alessandria
il solo attivo che vi sia è il p. Peracchia: a
Verona bisogna pensare a provvedere dell'altro personale. Come allora prendere un altro posto dove due Religiosi andrebbero a
vivere da preti secolari? E
qualora pure si perdesse una buona occasione, riflettono i pp. Consiglieri, altre e più importanti senza
dubbio se ne presenteranno fra non molti
anni per parte dei Vescovi, attesa la scarsità del clero sempre crescente. E neppure possono
approvare i pp. Consiglieri che il p. Rattalino sia
mandato colà "ad interim",
benché senza impegni, giacché ormai si sa dove vanno a finire queste misure temporanee: specialmente poi trattandosi
appunto del p. Rattalino il quale è d'indole
adatta, come Ella ben dice, più a star solo che in convento grande. Esso forse non
se ne vorrebbe più tornar via, o
almeno molto a malincuore lascerebbe un posto in cui si troverebbe a suo
agio. Attese
queste riflessioni sono persuaso che anch'Ella
converrà nella ragionevolezza di questa decisione, benché forse questa
possa tornar sgradita all'Eccellentissimo Vescovo di Massa-Carrara (...)». Il
discorso, dopo la risposta del Priore generale sostenuto dal parere del suo
Consiglio, pareva del tutto chiuso. Ma i Piemontesi sono coriacei... ed il p. Demarchi evidentemente tornava alla carica il
mese successivo, quando era stata convocata la Dieta provinciale per i giorni
22-27 maggio a Torino, s. Carlo. Durante
i giorni della riunione ci furono varie occasioni di tornare sull'argomento
e di parlarne direttamente, tra il Provinciale e il Priore generale. Infatti,
tra le decisioni del nuovo Consiglio provinciale, troviamo l'accettazione
(con nove favorevoli e nessun contrario, cioè all'unanimità!) della nuova
presenza "ad experimentum";
il Priore generale, che evidentemente aveva cambiato opinione in quei
giorni, aggiunse solamente un suggerimento per l'osservanza della vita
religiosa della nuova comunità[5]. Probabilmente
in quei giorni si parlò anche dei frati che
avrebbero dovuto essere inviati a Marina di Massa. Probabilmente già in quei
giorni il padre Alessio Rattalino veniva destinato alla fondazione in Argentina, per la
quale partiva il 6 luglio con la nave "Tommaso di Savoia". Il 4
luglio il Provinciale scriveva da Genova al priore generale, comunicandogli
di aver scritto al Rattalino «comunicandogli in
modo officiale la sua destinazione per l'Argentina. Finora non
mi ha risposto, ma dato che si ritiri, manderò p.
Pecchio, perché ormai bisogna andare ad impiantare l'Ordine in quel vasto
mondo, costi
quel che ha da costare». Nella
stessa lettera, comunque, il Demarchi diceva di voler mandare p. Pecchio: «A
Marina manderò poi il p. Pecchio a sperimentare, il quale mi dice che ha dei
motivi per chiedere di essere traslocato. Sarebbe andato più volentieri in
America, ma sembra molto contento di andare anche in quel luogo». Circa
il p. Pecchio, che risiedeva con lui nella comunità di Genova, il p.
Provinciale aveva alcune riserve, che espresse due anni prima in una lettera
scritta al Priore generale durante la visita canonica alla comunità ligure: «Adesso sto facendo la visita in questo
convento di Genova, e già sono venuto a
scoprire che il p. Pecchio, oltre il "Momento", mandava a comperare quasi tutti i giorni il "Corriere della
Sera". Sembra che da un po' di
tempo in qua si astenga ma... ma... è un individuo in cui ci vedo poco
chiaro. Ciò che mi dispiace ancora di più è un'avversione subdola del Priore
e del p. Pecchio contro di me e contro il p. Civra
perché ci mostriamo apertamente
contrari al Semerianesimo[6],
che quasi quasi chiamerei religione genovese, tanti sono i seguaci ed i
difensori. Meno male se la cosa rimanesse in casa, ma noto verso di me una
calcolata freddezza di parecchi giovani
del circolo e anche di qualche parrocchiano, chi ne sarà la causa? Per ora non saprei precisare. Anzi alcuni dei più
sfegatati ven dicendo fuori, con qual base io non lo so, che a non lungo andare io dovrò andare via ed il p. Pecchio sarà il parroco. Così ai Servi invece
del direttore della "Liguria" potranno poi prendere per cappellano il p. Semeria.
Questo l'aggiungo io». Comunque
il Demarchi sapeva anche rivedere il suo giudizio, e due anni dopo, proprio
alla vigilia della richiesta del Vescovo di Marina,
così scriveva al Priore generale: «Finora
l'unico, dei molti che furono in Genova e che vi sono, in cui trovi un valido aiuto è ancora il p.
Pecchio». Il
17 giugno 1914 il Provinciale piemontese scriveva ancora al Priore generale: «Fra
qualche giorno il p. Pecchio andrà a sperimentare la parrocchia di Marina. Gli mando come converso fr.
Antonio Signori, al quale per l'occasione
gli ho ridonato l'abito; e appena sarà preparato il posto, gli manderò anche
fr. Giacomo Tamietti, che
un po' per la sua lingua, un po' per la malattia che lo travaglia nessuno
vuole». Così,
come già riferito, il 4 luglio partivano per Marina di Massa il p. Gioachino
Pecchio e il fratello laico Antonio Signori. Non sappiamo quando i due siano
stati raggiunti dal p. Michelangelo Enrici;
comunque molto presto, poiché nel Registro di entrata e uscita della
comunità, nel mese di agosto, è segnata la spesa per il "trasporto del
baule p. Enrici: 11,50". Interessanti
sono anche le "entrare ed uscite straordinarie
fatte in questo 2° semestre 1914", registrate a fine anno, che riporto
integralmente:
E interessante osservare
da queste cifre che i frati per se stessi spesero ben poco, preoccupati
innanzitutto per la sistemazione della chiesa: inoltre, nonostante le offerte
del Provinciale e del Vescovo di Massa, la comunità chiudeva l'anno 1914 in
passivo di £. 943,35. Concludo
con due piccole note. Il
28 settembre 1914, a meno di tre mesi dall'inizio dell'esperienza, il p.
Pecchio scriveva al Priore generale, che aveva dimostrato di ricordarsi dei frati
di Marina inviando loro alcuni libri di meditazione
da lui composti: «Reverendissimo
Priore generale, abbiamo
ricevuti siano i libri per la meditazione, siano quelli della Paternità
Vostra. La
ringraziamo sentitamente della gentilezza usataci e della memoria che
conserva di questa casa. Speriamo pure, ed io per parte mia La sollecito,
che presto essa venga definitivamente accettata per
parte dell'Ordine. Allora, sicuri di rimanere, tutta la nostra attività a
ristorare materialmente la casa, e i mezzi credo non
mancheranno, e moralmente la Parrocchia. La
debbo infine io particolarmente ringraziare per
quanto ha fatto per me, assecondando il mio desiderio di essere allontanato
da Genova, senza che altri potesse averne a male. Riceva
tanti saluti ed ossequi da tutta la religiosa
famiglia e baciandoLe il sacro abito della Vostra
Paternità Reverendissima obbedientissimo Fr.
G. M. Pecchio»46. Il
giorno 8 ottobre il Priore provinciale compiva la prima visita canonica nella
novella comunità, mentre il giorno 11 dicembre il Priore provinciale p.
Pecchio riferiva al Consiglio generalizio la situazione della comunità, affermando
che i due sacerdoti «si prodigano di buon animo
per quel popolo (...) non senza esito consolante e approvazione generale.
Annualmente le entrate certe sono £. 600; quelle incerte sono di circa £. 25 settimanali. Una troppo piccola chiesa e una casa piccola devono in breve tempo lasciare spazio ad altre più
grandi; e non mancano parrocchiani ricchi che danno speranza di aiutare». Durante
la seduta del Consiglio, si decide di attendere per la accettazione
del luogo da parte dell'Ordine, fino a quando il Provinciale avrà raccolto
tutti i documenti. Solamente
nel 1919, il 23 aprile, verrà stipulata la
Convenzione fra il vescovo di Massa ed il Priore generale p. Lépicier per la consegna e l'accettazione della
parrocchia, che nel 1922 veniva riconosciuta anche civilmente. |
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[1] AGOSM, Negotia Religionis a saec. XVII 167, p. 381-383. Nel testo vengono anche indicate
le entrate certe (come i possedimenti in
terreni), le entrate incerte dovute alla questua di grano, biada, olio, miglio, castagne, "e
quando più quando meno, conforme all'annate buone, o
cattive, lana, lino, canepa, pane"; la
comunità possedeva pure due vacche, "una
muta, e due cavalli per uso della fabbrica" e "due cavalli a
metà"; inoltre vengono indicate le uscite del convento, le
spese per i sei frati, per i serventi, per il vestiario, i medicinali, medico e barbiere, "per la spesa della
mula, e cavalli (scudi 20) ". Alla fine della relazione i frati con
giuramento solenne affermano essere vere le notizie riportate
nell'inchiesta, stilata il 22 settembre 1650. [2] "Restò servita Vostra Signoria Illustrissima l'anno
scorso 1689 sotto li 7 maggio concedere al Priore e Frati del Convento di s. Giuseppe di Massa dell 'Ordine de ' Servi di Maria Vergine, che per evitare
il pericolo dell’aria poco salubre,
ed escrescenza del fiume potessero erigere un Ospizio in Massa, o suo Distretto
a casa a pigione, come è seguito. Ma perché si considera, che non possono gl’Oratori medesimi vivere con l'osservanza regolare, se l'habìtatìone non
è disposta alla forma, e uso de' Conventi, e questo non è praticabile nelle
case fabricate da ' secolari; però desiderosi lì prenominati Priore e
Frati di adempire il loro debito e vivere secondo l'Istituto della loro
Religione, ricorrono di nuovo alla pietà di Vostra Signoria Illustrissima,
perché si compiaccia di concederli che passino fondare e
costruire un Ospizio nel campo e sito di Camporimaldo
proprio degl'Oratori". La risposta,
anche in questo caso, fu positiva: "(...) Facultatem petitam construendi, et fundandi in dicto proprio praedio praenominati Conventus Hospìtìum una cum Oratorio servata forma Sacrorum
Canonum, et
Constitutionum Apostolicarum
benigne concedìmus, et ìmpertìmur.
Dat. Massae Lunen, Sarzanen. Diocesìs hoc die 8 augusti
1690": Ibid. [3] // Priore e Frali dei Convento di Maria Vergine
Addolorala di Massa humìlmente espongono a Vostra Signorìa Illustrissima, come in tutta la loro Religione si
costuma nella terza domenica di settembre celebrarsi la festa de' Dolori di
detta Vergine, e da' Sommi Pontefici è concessa Indulgenza plenaria a chi
interviene alla processione solenne pur consueta farsi in tal
giorno, portandosi la statua di nostra Signora Addolorata, e secondo tal rito lo facevano gl'Oratori
fuori della clausura, quando stavano nel Convento dì s. Giuseppe su la spiaggia di Massa, coni 'è notorio. Presentemente,
essendo passali dal mare in Camporìmaldo con tutti lì
privilegi, e dovendo secondo il
loro Istituto continuare ogn'anno la stessa dìvotione,
implorano riverentemente la Beneditione di Vostra Signoria Illustrissima a gloria di Dio, e profitto speciale
de ' Popoli, e supplicano Vostra Signoria
Illustrissima dì quanto sopra hanno esposto e le fanno profonda riverenza
". AGOSM. Set- Annalistica, Filza Q3, III. 5. [4] I Conventi di Monte Berico e di
Verona appartenevano ancora alla
Provincia piemontese: il 18 marzo 1915
veniva eretto il Rettorato veneto, che passava ad
essere Provincia nel 1922: ROSSI A. M.. Manuale di storia dell 'ordine dei Servi di Maria ( 1233-1954). Roma
1956, pag. 243-244. [5] "Siccome
l'Eccellentissimo signor Giovanni Marenco, vescovo di Massa, ha offerto a
questa Provìncia [6] Circa p. Giovanni Semeria,
sacerdote Barnabita ( 1867-1931 ), cfr. Enciclopedia
italiana XXXI, p. 344. Noto predicatore,
per un certo periodo di tempo risiedette a Genova. Qui
fu sospettato di modernismo, e nel settembre
1912 per questa ragione venne trasferito dai superiori
a Bruxelles. Il p. Demarchi scriveva proprio nei mesi più
"caldi" della querelle.
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